Dopo 5 anni di attività, il 1° febbraio, la Fondazione Welfare Ambrosiano ha presentato la rendicontazione delle proprie attività in un interessante convegno concluso dal ministro Poletti. L’iniziativa ha coinciso con la presentazione del progetto di “reddito minimo”: illustrata proprio dal ministro del Lavoro come la via italiana per la lotta alla povertà. Le due iniziative, la sperimentazione milanese della Fondazione e l’iniziativa nazionale, hanno diversi punti in comune. Per alcuni tratti si può addirittura ritenere che Fwa ha sperimentato in questi anni iniziative che confluiscono nella proposta governativa avanzata.
Come già raccontato, Fwa ha una governance composta da Comune di Milano, Provincia di Milano (oggi città Metropolitana), Camera di Commercio e sindacati (Cgil, Cisl e Uil). La finalità è gestire un fondo attraverso cui erogare linee di microcredito e promuovere nuova mutualità. Per quanto riguarda il microcredito, si sono attivate due linee di intervento con la finalità di favorire l’inclusione sociale di chi rischiava di scivolare nella povertà conclamata. Quindi un microcredito a sostegno di soggetti non bancabili. La prima linea ha riguardato finanziamenti per microimprese. Con erogazioni fino a 20.000 euro si è permesso a microimprenditori di rilanciare la propria attività o si è sostenuto chi avviava nuove avventure imprenditoriali. La seconda linea di microcredito è invece più innovativa. È una sorta di Cofidi sociale rivolto a persone che per qualche ragione hanno un temporaneo calo di reddito e che rischiano di diventare esclusi dal mercato del lavoro, perdere l’alloggio o non riuscire a coprire spese di studio, ecc. In questo caso un contributo che può raggiungere i 10.000 euro permette di superare il periodo critico e una restituzione spalmata in 6 anni, permette di recuperare la propria autonomia economica.
Questi interventi hanno assicurato in questi anni 8 milioni di euro erogati come microcredito dal sistema bancario convenzionato e garantito dalla Fondazione. I crediti erogati, a conferma che le necessità sono spesso contenute, hanno rappresentato quote medie di circa 5.000 euro e non hanno, per ora, portato a contenziosi, se non in una percentuale inferiore alla media del mercato bancario tradizionale.
Fwa ha nel corso di questi anni sviluppato altre linee di intervento. Ha assicurato con un fondo apposito l’anticipo dell’assegno di cassa integrazione nei casi in cui l’erogazione fosse ritardata oltre i sessanta giorni dall’avvio della sospensione dal lavoro. Ha gestito fondi di sostegno all’imprenditoria giovanile e avviato con il Comune di Milano un progetto per l’agenzia per la casa, un luogo di incontro fra proprietari e affittuari per gli affitti concordati. In ultimo è stato avviato anche un progetto di nuova mutualità per assicurare interventi di prevenzione sanitaria nel campo dentistico infantile, per prevenire tumori femminili e per interventi rivolti alla terza età. I punti in comune con l’ipotesi di intervento governativo sul salario minimo sono perciò molteplici.
Fwa ha sperimentato in questi anni un lavoro di conoscenza e intervento verso le nuove povertà che non ha eguali in altre parti d’Italia. Fin dall’avvio ha scelto di operare attraverso l’apporto di volontari che si prendono in carico il bisogno delle persone. Ha perciò agito costruendo una rete sul territorio con tutte quelle realtà che già operano nella lotta contro le nuove povertà offrendo un supporto economico perché fossero rimessi in moto i progetti di vita delle persone.
Proprio in un progetto seguito con i servizi al lavoro del territorio, Fwa ha offerto un sostegno economico per quei soggetti che sommavano alla disoccupazione altre fragilità sociali. Ciò ha permesso di sostenere percorsi di inserimento lavorativi che si sarebbero presentati più difficili senza l’integrazione dei servizi di sostegno all’occupabilità con quei servizi di sostegno sociale che permettessero di affrontare tutte le fragilità della persona. Vi è qui il tratto comune con la proposta di affrontare il tema del reddito minimo non solo come sostegno al reddito, ma come percorso pro-attivo con cui rimettere in moto chi altrimenti escluso.
La proposta avanzata dal Governo ha di innovativo, rispetto ai sistemi di sostegno sociale storici del nostro Paese, il fatto di introdurre due concetti. Chi ha bisogno deve trovare dove è accolto e preso in carico. Ossia un luogo dove esplicitare il suo bisogno e definire un percorso finalizzato a recuperare la propria autonomia. Inoltre, deve essere disponibile a rimettersi in gioco, ossia a perseguire attivamente il percorso e gli impegni concordati.
È un’innovazione profonda. Ma difendere il passato significa non voler sfruttare le opportunità che si presentano. La paura del nuovo e del futuro non può essere paralizzante e frenare la necessità di avviare nuove politiche e modalità per un nuovo welfare più efficace e che assicuri un’effettiva inclusione sociale e non semplicemente assistenza sociale.