«Nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti». A pronunciare queste parole non è un un azionista particolarmente entusiasta dei successi del numero uno del gruppo oggi noto come Fca. No. L’estimatore convinto del leader dell’ex casa torinese dell’auto oggi globalizzata è Maurizio Landini. Sì, proprio lui. Sì, proprio lo strenuo oppositore della Fiat, colui che aveva pronosticato la rovina dell’automotive italiano, che aveva vaticinato l’assorbimento dello storico marchio italiano da parte della statunitense Chrysler, che aveva denunciato urbi et orbi la perdita dei diritti fondamentali dei lavoratori a causa degli accordi firmati da alcuni sindacati, e che, ancora, aveva dato vita a una raffica di azioni giudiziarie contro le intese siglate e votate dalla maggioranza dei lavoratori, inondando di ricorsi le procure di mezza Italia fino alla Corte costituzionale. Ebbene, proprio lo stesso Maurizio Landini, come se negli ultimi cinque anni non fosse accaduto niente, qualche giorno fa ha pronunciato il verdetto citato.
Realpolitik si dirà, di fronte ad accadimenti e risultati che progressivamente hanno smentito ogni previsione. Erano anni, infatti, che il gruppo automobilistico torinese non vendeva su scala internazionale tante automobili, soprattutto di alta gamma, quante ne ha venduto dopo gli accordi tra l’azienda e alcuni sindacati particolarmente responsabili e lungimiranti e dopo gli investimenti e le conseguenti assunzioni realizzati negli stabilimenti italiani. Il tutto, sotto la regia di Marchionne, all’interno di un percorso di fusione che è valutato un capolavoro da manuale.
Tutto bene, dunque, quel che finisce bene. E ben venga il clamoroso cambio di opinione di Landini, che, anzi, potrà essere una carta in più per la stabilità delle produzioni italiane e dell’occupazione. Avrà avuto le sue ragioni il leader della Fiom a manovrare a U smentendo un lustro intero di opposizione dura e senza esclusione di colpi. Sotto questo profilo va certamente riconosciuta la capacità di cambiare idea di fronte alla forza delle cose.
Ma le parole di Landini e il nuovo corso della Fiom, almeno rispetto al vertice di Fca, non possono far passare sotto silenzio e, anzi, fanno risaltare ancora di più l’atteggiamento preconcetto di una fitta schiera di sostenitori della posizione assunta per ben cinque anni dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil. Se gli operai Fiat su cui contare sono stati pochi, da come si è visto nello scarso seguito ottenuto nei referendum aziendali, non si può dire lo stesso per quel che riguarda i giornaloni, le Tv pubbliche e private più importanti, tutta la sinistra e persino tanti imprenditori. Nei passaggi cruciali di quegli anni e di quelle fasi, tutti questi potere forti, tutta la sinistra radical chic, tutti i commentatori più influenti dei media più diffusi non hanno fatto altro che gettare la croce addosso ai firmatari di quegli accordi e a Marchionne, esaltando la lotta dura e senza paura del compagno Landini.
Delle opinioni odierne di costoro non sappiamo niente. Sappiamo solo che non hanno speso una parola rispetto ai risultati raggiunti da Fca anche grazie a quegli accordi. E invece sarebbe interessante verificare se avranno lo stesso fegato di Landini. C’è chi giura di no, perché in verità questi signori sono stati sempre quelli, da poteri forti quali sono, che hanno manovrato nelle vicende sociali ed economiche italiane ora per interessi finanziari, ora per calcoli politici. Nessun dubbio da che parte stare: meglio gli errori dichiarati di Landini che gli interessi inconfessati di questi furbetti del commento, pronti a cavalcare l’ultima moda senza pagare mai pegno. Neppure con una doverosa autocritica.