Le parole che Maurizio Landini ha pronunciato la scorsa settimana a proposito di Fiat-Chrysler e di Sergio Marchionne, al di là del clamore, vanno lette con molta attenzione perché non sono per nulla casuali. “Nessuno nega che la Fiat, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne, fosse a rischio di fallimento e oggi no. E nessuno vuole negare le qualità finanziarie del manager. Di tutto questo noi siamo contenti”.



A differenza dei soliti commentatori, che oggi non parlano più del caso perché la rinascita dell’industria dell’auto italiana – quasi lo 0,4% del +0,7% di Pil è del settore auto – è talmente evidente che ha chiuso loro la bocca (il migliore resta “Marchionne ha salvato Chrysler e ha ucciso Fiat”), quantomeno Landini ha riconosciuto di aver sbagliato qualcosa. Diciamo che sul piano organizzativo ne aveva molto bisogno. Il calo degli iscritti è stato forte: prima della sua nomina a Segretario generale della Fiom-Cgil, le tessere erano circa 364mila, nel 2014 circa 352mila; solo nelle fabbriche Fiat il tasso di sindacalizzazione è crollato dal 39% del 2011 al 33% del 2014; oggi, dal loro interno, trapela che gli iscritti siano 350.000. La Fim-Cisl ha guadagnato circa 10.000 nuove tessere, la Uilm-Uil non molte posizioni.



In fabbrica e nei luoghi di lavoro la logica del talk show non funziona, e già qualche mese fa Landini ha ammesso di essersi troppo preoccupato dei salotti televisivi. I lavoratori si iscrivono al sindacato per il valore aggiunto della rappresentanza (la Fim lo è stato), ma quando questa anziché tutelare il lavoro e le sue potenzialità mette a rischio il posto dei suoi rappresentati, l’effetto non può che essere quello della perdita degli iscritti a vantaggio di chi opera per le prospettive del lavoro.

Tuttavia le ragioni dell’abiura di Landini sono più profonde. Il Segretario generale della Fiom da tempo è molto disciplinato, parla pochissimo e lavora in modo molto collaborativo al rinnovo del contratto metalmeccanico, il cui ultimo incontro tra Federmeccanica e sindacati è stato nella giornata di venerdì scorso. Landini ha più volte detto “questo contratto lo vogliamo e lo firmeremo”.



Il contratto dei meccanici si appresta a diventare la piattaforma di riferimento per il prossimo accordo interconfederale, il manifesto di Federmeccanica è considerato programmatico da tutti i candidati alla presidenza di Confindustria. Landini vuole fortemente questo rinnovo – che è vicino e seguirà quello di chimici e alimentaristi – perché, dopo il fallimento della “coalizione sociale”, punta deciso alla Segreteria della Cgil.

È chiaro che presentarsi al congresso della Cgil (2018) forte del rinnovo del contratto modello del futuro prossimo delle relazioni industriali non è poca cosa. E, a parere di chi scrive, questa volta Landini se la giocherà: il sindacato intero ha bisogno di una scossa, Landini è discutibile – come chiunque del resto -, ma è da sempre nemico della burocrazia sindacale (leggi confederale); l’uomo che può dare una scossa alla sua organizzazione, come Marchionne l’ha data al sistema Confindustriale nel 2010. Marchionne-Landini: in fondo in fondo, “c’eravamo tanto amati”.

Twitter @sabella_thinkin

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