Il decreto attuativo della Legge di stabilità 2016 per la riduzione della tassazione legata ai premi di produttività è stato firmato. Il provvedimento stabilisce una tassazione agevolata al 10% (invece di quella ordinaria che attualmente parte dal 23%) dei premi di risultato entro 2.000 euro lordi, legati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. Ne potranno beneficiare i lavoratori dipendenti con reddito non superiore a 50.000 euro.



Duemila euro lordi l’anno in più a favore dei dipendenti significava un costo per le aziende di ulteriori 560 euro (sotto forma di contributi aggiuntivi alla retribuzione). Inoltre, su quei 2.000 euro, il lavoratore avrebbe dovuto pagare l’Irpef. D’ora in poi l’aliquota Irpef scenderà al 10% (per chi guadagna dai 28 ai 55 mila euro lordi è del 38%). Se invece di moneta sonante l’azienda investisse il medesimo ammontare sotto forma di servizi/prodotti di welfare, i 2.000 euro entreranno tutti nelle tasche dei dipendenti.



Come noto, conditio sine qua non delle agevolazioni fiscali è l’accordo sindacale in azienda. La novità del decreto è che oggi sono finalmente chiare le modalità con cui sarà data attuazione a queste disposizioni. In primis, i contratti azienda-sindacato dovranno prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività attraverso indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati. La norma impone anche una sorta di schedatura del contratto di produttività, andrà ovvero indicato a quale parametro è agganciato il pagamento del bonus. Il testo elenca 20 parametri possibili: volume della produzione rispetto ai dipendenti; fatturato per dipendente; margine operativo lordo; indici di soddisfazione del cliente; diminuzione di riparazioni e rilavorazioni; riduzione degli scarti di lavorazione; percentuale di rispetto dei tempi di consegna; rispetto delle previsioni di avanzamento lavori; modifiche dell’organizzazione del lavoro; lavoro agile; modifiche dei regimi di orario; rapporto tra costi effettivi e costi previsti; riduzione dell’assenteismo; brevetti depositati; riduzione dei tempi di sviluppo di nuovi prodotti; riduzione dei consumi energetici; riduzione degli infortuni; riduzione dei tempi di lavorazione; riduzione dei tempi di commessa. È lasciata una voce per l’individuazione di altri parametri.



L’ammontare detassato può salire da 2.000 a 2.500 euro purché i contratti prevedano strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro da realizzarsi attraverso gruppi di lavoro nei quali operino responsabili aziendali e lavoratori. Non è necessario – come precisato da palazzo Chigi – che i componenti di questi organismi paritetici appartengano al sindacato. Gli incentivi previsti vanno nella direzione di accrescere, progressivamente e sempre di più, la contrattazione aziendale e non è escluso che questa conduca nel tempo a nuove forme di rappresentanza.

Come abbiamo più volte rimarcato, l’incentivazione degli accordi in azienda da una parte rende più partecipativo il clima delle relazioni sindacali, dall’altra pone dei presupposti importanti per la costruzione di nuove forme di welfare ora che lo Stato sociale è sempre più un’immagine del passato. Da tempo si parla di welfare aziendale, certamente questo può contribuire alla costruzione del Nuovo welfare, ma spesso non si considera che il welfare costa: le aziende non possono sostituirsi allo Stato sociale. Tuttavia, lo Stato che fa la sua parte attraverso gli sgravi fiscali, partecipa alla costruzione del Nuovo welfare.

 

In collaborazione con www.think-in.it