“Solo un italiano su cinque sa che i contributi versati durante la sua vita lavorativa servono per pagare le pensioni correnti. E che la sua pensione futura – calcolata su un montante individuale costruito sommando i contributi ‘nozionali’ rivalutati con un tasso annuo di capitalizzazione – sarà pagata con i versamenti dei lavoratori che verranno. Solo il 65% sa poi che il nostro sistema è in disavanzo e che quindi, non bastando i contributi versati, per pagare tutte le pensioni vigenti servono anche cospicui trasferimenti dello Stato”. Per colmare anche (non solo) questo imbarazzante gap conoscitivo, confermato da un’indagine Inps di cui ieri sono state anticipate le prime evidenze…
Questo è quanto uscito il 18 marzo su Il Sole 24 Ore come introduzione alla notizia che l’Inps entro aprile invierà 7 milioni di buste arancioni che contengono la simulazione della pensione futura dei riceventi. Finalmente, cessata la polemica boeriana sulla “manina” che di soppiatto aveva fatto sparire i fondi per i francobolli dalla Legge di stabilità, e sbollito il disdegno di Laura Boldrini presidente della Camera dei deputati, ci si potrà chiedere se e quanto, alla luce di quei dati, la pensione potrà assicurare un tenore di vita adeguato e si metterà in moto la macchina mediatica di come e quanto integrare la prestazione Ago.
Tuttavia non è questo che attira l’attenzione, ma è, ancora, il luogo comune che il sistema delle pensioni italiano appare come un passante pencolante su un lato, offeso su uno degli arti che al di fuori della metafora è il suono di grancassa che risuona su una buona parte della stampa e da una buona parte degli opinion maker in campo. Ma è proprio così o è un luogo comune?
Intendiamoci, quanto prima anticipato potrebbe essere verosimile se continuasse a permanere quel confine mobile tra previdenza e assistenza che di volta in volta viene spostato a favore di una tesi piuttosto che di un’altra. Una cosa è certa: se Poletti prendesse il coraggio a due mani per fissare una volta per tutte definizioni, interventi, spazi, contabilizzazioni e rivisitazione dei profili fiscali incidenti, il panorama diventerebbe più veritiero e più chiaro permettendo di mostrare come la previdenza non pencola e non zoppica. Questo perché il sostantivo Pensioni è similare a quello di Democrazia: tutti e due non sono termini univoci. Nel bilancio Inps sotto la dizione pensioni si raggruppano almeno tre categorie diverse
Certo, se ci si attiene alle correnti metodologie di calcolo anche a livello macro, come ad esempio quella di Pensions at Glance dell’Ocse, la sostanza dell’affermazione precedente perderebbe punti. Di contralto se si considerasse il quadro complesso, articolato nelle sue componenti – che non vuol dire fare un “artifizio contabile alla greca stile 2010” – qualcuno dovrebbe riconoscere che maturano nell’ignoranza proprio quei programmi di educazione finanziaria e previdenziale sbandierati come necessari per far fronte alla stessa.
Ma utilizziamo qualche cifra premettendo che questo esercizio è stato compiuto prima che Itinerari Previdenziali, guidato da Brambilla, ne facesse uno analogo con nostra soddisfazione per un motivo: il pervenimento alla medesima conclusione che il sistema previdenziale italiano non è né zoppo, né sciancato, per ora. Ma come più volte illustrato in sede di Commissioni Parlamentari esso necessita di un accurato e adeguato fine tuning, nonché di una politica programmatica e gestionale lungimirante capace di spostarsi sulla linea dell’orizzonte degli eventi che richiede attenzione sia alle condizioni demografiche del Paese (naturalmente), sia al suo percorso e alle sue componenti macroeconomiche più importanti.
Per riprendere un concetto che già esprimemmo in un precedente intervento – concetto raccolto dal Premier: non si prendono decisioni su dati non certi, perché si rischia di raffazzonare -, va segnalato che la fragilità del sistema contabile italiano non è un mistero. Se qualcuno volesse mettere a confronto i dati per voci riconducibili a realtà omogenee, dati raccolti da Istat/Eurostat, Mef e Inps, trarrebbe la conclusione che la matematica non solo è un’opinione, ma è un esercizio degno dell’equazione di Heisemberg. È cosi che con i dati dei tre enti su numero di pensionati, numero delle prestazioni erogate, valore delle pensioni erogate per classi di beneficiari e per range di importi dagli anni 2012 al 2014, l’analista e il commentatore avrebbero di che meravigliarsi per le differenze presenti.
Poiché l’analisi fatta dallo scrivente è datata, riferendosi appunto a quei dati, e poiché Itinerari Previdenziali di Brambilla ha prodotto un lavoro aggiornato come quello di Pensions at Glance (Ocse) curato da D’Addio, entrambe pregevoli, ma ciascuno pervenuto a conclusioni abbastanza diverse, mi si permetta in conclusione di utilizzare solo comunque i miei vecchi dati al 2012 proprio per avvalorare in reciprocità le conclusioni di Brambilla e smentire i luoghi comuni che si ha interesse a coltivare e far perdurare nel nostro Paese.
15,4% Rapporto Spesa previdenziale/Pil al 31/12/2012 calcolato dall’Ocse (Pensions at Glance 2013 Focus Italy)
12,1% Rapporto Spesa previdenziale/Pil al 31/12/2012 calcolato secondo i dati sotto esposti. Differenza di 3,3 punti percentuali di Pil
Totale spesa pensionistico-assistenziale complessiva
Inps 2012: 311,1 miliardi di euro
Mef 2012: 313,9 miliardi di euro
Dettaglio spesa prestazioni previdenziali per pensioni di vecchiaia, anzianità, ecc.: 211,1 miliardi di euro (al lordo delle imposte)
Prestazioni assistenziali Inps: 100,0 miliardi di euro
Dettaglio entrate contributi previdenziali Inps: 190,4 miliardi di euro
Deficit Inps voce di categoria “Pensioni”: 20,7 miliardi di euro
Imposte pagate dai pensionati: 42,9 miliardi di Irpef + 3 miliardi di Addizionali Irpef
Spesa pensionistica “reale”: 165,21 miliardi di euro
Attivo pensionistico “puro” (contributi – prestazioni): 25,19 miliardi di euro