Che la fisionomia del lavoro stia cambiando non è certo un mistero. Non è soltanto lo sviluppo delle nuove tecnologie a dettarne i ritmi, che spesso sembrano orientati a una crescita esponenziale di produzione e consumo. Sarà probabilmente un segno dei tempi, ma una società sempre più “liquida”, per usare un’immagine introdotta da un noto sociologo diventata ormai di pubblico dominio, comporta anche un cambiamento esistenziale del lavoro. La “solidità” di parametri tradizionali di valutazione, come le classiche otto ore (almeno) trascorse in fabbrica, in ufficio, in aula, ecc. e lo sforzo spasmodico per accrescere lo stipendio, non rispondono più integralmente alle esigenze odierne.

Da questo punto di vista, è interessante notare lo spazio guadagnato da due fattori, magari non sempre nella realtà, ma quantomeno in discussioni e analisi. Il primo è rappresentato dallo sviluppo di sistemi di welfare aziendale, stimolati anche da motivi economici tutt’altro che trascurabili dovuti alla necessità di contenere la spesa pubblica. Nelle grandi aziende si affinano e si programmano iniziative magari sorte in anni passati, ma a cui oggi si riconosce un’importanza cruciale, non più soltanto alla stregua di benefit collaterali. 

I due grossi pilastri del welfare aziendale sono previdenza e assistenza: la creazione di forme pensionistiche complementari interne consente, da un lato, di migliorare le prospettive pensionistiche del personale, dall’altro di agevolare la contrattazione aziendale (cosiddetta di secondo livello), visto che il finanziamento dei fondi pensione è soggetto ad agevolazioni fiscali e contributive, che lo rendono meno oneroso per l’azienda del tradizionale incremento in busta paga e comunque appetibile per il lavoratore.

La realizzazione di forme collettive di assistenza sanitaria, tramite fondi sanitari o polizze collettive di gruppo, consente di affrontare problemi di salute, ottenendo rimborsi di cure e visite o, quantomeno, rivolgendosi a strutture convenzionate che praticano sensibili sconti sui servizi offerti, non soltanto per grosse patologie: basta andare dal dentista da semplice privato cittadino o da iscritto a una cassa di assistenza sanitaria per comprendere al volo la differenza; anche in questo caso, poi, sono previste agevolazioni fiscali delle fonti di finanziamento.

Interessante è anche l’esperimento dei “conti sociali” collegato ai premi di produttività erogati dalle aziende, diffuso negli ultimi anni in relazione ai benefici previsti dalle leggi di stabilità, dove il lavoratore ha facoltà di destinare la quota spettante di premio a una sorta di conto al quale può attingere per spese legate alle esigenze del nucleo familiare, quali, ad esempio, il pagamento di rette scolastiche o spese sanitarie sostenute per i figli.

Analoghe iniziative hanno coinvolto anche i liberi professionisti, dove le casse previdenziali hanno incrementato la spesa per il welfare del 18% circa tra il 2007 e il 2014: si va da sostegni alla maternità per tutelare i periodi di gravidanza e post-parto sul piano dell’assistenza medica e psicologica, a incentivi per spese di aggiornamento professionale, a forme di assistenza destinata alle fasce più giovani. 

Il secondo fattore è l’esistenza di una sempre maggiore ricerca di integrazione dei tempi professionali con quelli personali, legati soprattutto alla vita familiare: è il campo del cosiddetto “smart working”, che raccoglie diverse iniziative per migliorare la qualità del lavoro, tra cui, ad esempio, la sperimentazione di orari flessibili, con possibilità di svolgere una parte della settimana lavorativa direttamente da casa, o da hub aziendali debitamente attrezzati; la creazione di circoli ricreativi, dove viene riconosciuto un valore produttivo al tempo libero. 

Si tratta di iniziative che possono avere un impatto significativo sull’economia su più livelli: a livello di offerta di servizi di welfare, sempre più necessari a causa del progressivo invecchiamento della popolazione; a livello di razionalizzazione della spesa statale, ormai molto limitata nelle sue possibilità; a livello di espansione sociale, poiché, almeno fino a oggi, il mondo del welfare aziendale ha interessato soprattutto la grande impresa, mentre la piccola e media impresa ne è rimasta quasi tagliata fuori: si tratta di un grande potenziale di crescita, se si pensa che l’80% dei dipendenti del settore privato sono in servizio presso imprese che occupano dai 10 ai 250 lavoratori; qui, a mio avviso, saranno determinanti accordi interaziendali o territoriali per non gravare eccessivamente sui bilanci aziendali e creare un’organizzazione efficace.

Non da ultimo, si possono prevedere forti impatti antropologici: la decisione di Mark Zuckerberg di festeggiare la propria paternità prendendosi alcuni mesi di congedo parentale e concedendone altrettanti ai dipendenti di Facebook nel mondo, viene proprio dal cuore della Silicon Valley, dalla regione cioè, sotto certi aspetti, emblema della “industria” di domani: segna forse l’inizio della crisi dell’homo faber, inteso come unico e privilegiato senso dell’agire umano in questo mondo?