I rappresentanti di una delle cosiddette Parti sociali (Flc-Cgil) recentemente hanno detto alcune sciocchezze, affermando: “La Flc Cgil nel confermare la propria contrarietà a modelli di intreccio tra formazione e lavoro che chiaramente prevedono un abbassamento dei livelli di istruzione e una canalizzazione precoce degli studenti, segnala come tutta la partita sull’apprendistato si gioca fondamentalmente sull’accaparramento delle risorse nazionali ed europee dedicate (curioso che lo riescano ad affermare ancora prima dell’approvazione dei progetti, ndr), mentre l’attenzione verso i giovani in formazione è pari a zero. Bisogni, ansie e aspirazioni di questi ragazzi evidentemente non interessano…”.



Il lavoro, l’imparare dal fare, il pensiero d’opera non sono nati oggi. Se è inutile scomodare Aristotele e Socrate, almeno ricordiamoci che una generazione ha messo in gioco se stessa, i propri privilegi e le proprie comodità e che non più tardi di 50 anni fa era affascinata dagli insegnamenti educativi di un povero prete mandato in esilio. Oltre a quanto detto e fatto da don Milani, è opportuno ricordare (e andare a vedere) il primo contratto di apprendistato, siglato da don Bosco (8 febbraio 1852), che di fatto ha “inventato” come risposta a un bisogno educativo e di senso la formazione professionale. Ora siamo tutti portatori di queste esperienze.



In Lombardia, ma non solo, la formazione professionale accompagna migliaia di giovani a scoprire i propri talenti e a vivere la propria crescita educativa e culturale, nell’approfondimento di una professione. Questo approccio non limita e non “fa sconti” nei saperi e nelle conoscenze che dovranno dimostrare i giovani per ottenere il titolo di studio. Come spesso i grandi didatti ci spiegano, è una questione di apprendere in assetto diverso da quello tipicamente scolastico “bancocentrico”.

La formazione professionale ha inoltre anche in questi tempi (dati da osservatorio Isfol) generato un tasso di occupazione per gli studenti che hanno terminato il ciclo di studio superiore al 70% (quasi sempre in coerenza con il settore di studio). Perché allora tutto questo astio? 



Le posizioni di questi esperti della Federazione dei lavoratori delle conoscenze e le contrapposizioni ideologiche e strumentali di questa organizzazione hanno da sempre portato grandi benefici esclusivamente per i lavoratori e gli utenti del sistema scolastico statale. Non discuto che i loro “clienti” principali possano essere oggetto di attenzione, ma altrettanto certamente non si può, davanti a dichiarazioni palesemente false, non manifestare il profondo disagio. Soprattutto nei nostri Centri di formazione professionale (Cfp) dove c’è chi, per scelta o perché sollecitato dalla mancanza di alternative, ha deciso di dedicare la propria vita lavorativa ad accompagnare i giovani a costruirsi un futuro e accettare la sfida educativa nell’Istruzione e formazione professionale (Iepf) in collaborazione con il mondo del lavoro.

La posizione della Cgil nazionale è conosciuta; meno evidente è il fatto che il meraviglioso modello statale unica garanzia (parole loro) per un’adeguata formazione dei giovani italiani produce uno scarto di produzione di oltre il 30% degli iscritti (oltre tre ragazzi su dieci abbandonano questo paradiso). Possiamo altresì dire che l’attenzione verso i giovani in formazione professionale è pari a zero? (sempre parole loro!). Possiamo dirlo per i nostri nuovi primi apprendisti dell’innovativo sistema duale? Senza le attenzioni e la disponibilità dei tutor, docenti, della direzione e dell’azienda ospitante (che li ha valorizzati, inseguiti, redarguiti, accompagnati…), non sarebbero mai arrivati nemmeno alla firma del contratto! Chi conosce i loro percorsi sa di quale dedizione e di che “ricchezza” stiamo parlando.

L’approccio ideologico diffuso da questi rappresentati dei lavoratori (compresi quelli che operano nella Iefp) è grave, purtroppo molto popolare nelle scuole medie statali, e mina, una volta accolto dagli insegnanti, il principio di libertà di scelta. Chi tra noi crede in ciò che facciamo dovrebbe in prima persona difendere la possibilità per molti ragazzi di diventare (dei) grandi.

Infine e inoltre; chi tra noi leggendo queste righe dovesse reagire con un silenzioso “beh, però, tutto sommato…” si domandi se sta facendo del bene a se stesso (e al suo posto di lavoro) oltre che ai nostri ragazzi! O forse c’è in gioco qualche cosa di più “importante” (vedi la Riforma Costituzionale varata il 20 gennaio 2016)?