Oggi gli Industriali sono chiamati a scegliere la loro guida per il prossimo quadriennio. Al di là di sensibilità e storie diverse che ci sono tra le personalità di Vincenzo Boccia e Alberto Vacchi, ciò che conta – se pensiamo al mandato che li attende – è che sostanzialmente entrambi hanno sposato il Manifesto per le Relazioni Industriali di Federmeccanica. “È diventato ineludibile – recita il documento – il tema della produttività e del collegamento tra la stessa e i salari. In sei anni le retribuzioni pro-capite sono cresciute in termini reali del 6,5% mentre la ricchezza complessivamente prodotta dal settore è diminuita del 18%. Nell’interesse di tutti – Paese, imprese, e lavoratori – le dinamiche salariali devono, invece, essere strettamente collegate ai risultati economici e reddituali conseguiti dalle aziende”.



Il documento, naturalmente, non fa riferimento a quanto nel periodo citato i livelli retributivi siano stati sostenuti dalla cassa integrazione: solo nel 2011 si contano 24 miliardi di euro. È comprensibile, tuttavia, l’obiettivo che in prospettiva i “meccanici” hanno condiviso, anche sul fronte sindacale. È chiaro che la partita si gioca tutta su come intendere il collegamento ai risultati economici e reddituali conseguiti dalle aziende.



Il contratto dei meccanici si prepara quindi a diventare il riferimento dell’intero sistema di relazioni industriali. L’Associazione degli Industriali sposa così la “rivoluzione Marchionne” dopo esserne stata la principale vittima (altro che la Fiom). Proprio il Presidente di Federmeccanica Fabio Storchi, rispondendo in questi giorni a una domanda in merito, ha dichiarato che “è presto per il rientro di Fiat in Confindustria”. Questo perché il problema vero di Fiat non era la derogabilità del contratto di Pomigliano non avallata da Federmeccanica prima e da Confindustria in un secondo momento, ma la giurisdizione del sistema confindustriale che non garantiva al gruppo l’esigibilità degli accordi siglati. Per questo motivo Fiat voleva da viale dell’Astronomia la disdetta dell’accordo del ’93 sulle Rsu.



A proposito dell’accordo del ’93, oggi – al momento ancora prevalentemente nelle intenzioni – ci si appresta a distribuire ricchezza a livello aziendale. È proprio ciò che in oltre 20 anni si è riusciti a fare solo limitatamente: i delegati aziendali, o di fabbrica (come qualcuno preferisce chiamarli), hanno parzialmente accolto questa occasione che li avrebbe resi protagonisti nei luoghi di lavoro. Chi non manca di sottolineare la grande occasione che si ripresenta, parla di un errore storico che il sindacato paga ancora oggi, perché quella rinuncia al protagonismo in fabbrica e nelle imprese era una questione di collante nei rapporti tra i lavoratori.

Anche l’accordo del 2009 – l’ultimo accordo generale, per quanto non firmato dalla Cgil – aveva come obiettivo di favorire, secondo il modello prevalente in Europa, la contrattazione di secondo livello, specie per la parte economica, in modo da consentire maggiore retribuzione in funzione del raggiungimento di obiettivi di efficienza e produttività.

Quindi, in sintesi, qual è la novità oggi? La novità, più che da un quadro di regole, oggi è dettata dal grande bisogno che la rappresentanza ha di ridarsi un orizzonte e di tornare ad essere propositiva e, quindi, protagonista. Saranno capaci le Parti di cogliere l’occasione? Dal Governo è arrivato un assist importante: con la stabilità 2016, la contrattazione aziendale viene incentivata; e lo sarà sempre di più. Imprese e lavoratori hanno più di un buon motivo per cogliere la palla al balzo. Laddove non sarà colta, qualcuno capirà che è giunto il momento di darsi nuove forme e nuovi soggetti di rappresentanza. In soldoni: il dado è tratto, siamo solo all’inizio.

 

Twitter @sabella_thinkin