Tra gli obiettivi di finanza pubblica e le principali riforme in cantiere, nel Def (Documento di economia e finanza) approvato dal Consiglio dei Ministri vi è come noto un importante paragrafo sulla contrattazione. “Nel 2016 – si legge nel documento – il Governo si concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale con l’obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e di garantire la pace sindacale in costanza di contratto. I contratti aziendali potranno altresì prevalere su quelli nazionali in materie legate all’organizzazione del lavoro e della produzione”.



Sin dal 2011 la Commissione europea insiste affinché, anche in Italia, il baricentro della contrattazione si sposti dal livello nazionale a quello delle imprese. Solo il 20% delle nostre imprese contratta aziendalmente (dato Uil) e, se consideriamo che all’interno del sistema confindustriale il dato sale solo fino al 30%, è chiaro che i margini di crescita ci sono tutti, soprattutto se il Governo incentiverà la contrattazione aziendale come ha già fatto per il 2016 e come indicato nel Def per i prossimi anni. Tuttavia, stante la riforma mancata sul versante delle confederazioni sindacali, il Governo ha deciso di procedere per legge.



In una battuta, che battuta del tutto non è, Sergio Marchionne è il driver di questo cambiamento. La contrattazione di secondo livello non nasce certamente con il contratto di Pomigliano, e lo stesso accordo generale del 2009 – sebbene non firmato dalla Cgil – apriva le porte alla contrattazione aziendale e al salario di produttività, dopo la grande occasione mancata del ’93. Ma è innegabile quanto il caso Fiat segni un passaggio decisivo in quest’ottica, oggi riconosciuto sia in casa Confindustria (si veda il Manifesto per le Relazioni Industriali di Federmeccanica), sia in casa Cgil (si pensi alla recente abiura di Landini).



In sintesi, il Def prevede appunto che un contratto aziendale possa far premio su quello nazionale in aree come turni e orari di lavoro, organizzazione aziendale e la parte del salario al di sopra di quanto previsto dalle tabelle nazionali di ciascuna categoria. Una quota che può valere fra un quinto e un terzo della busta paga potrebbe così essere negoziata fra imprenditore e dipendenti in azienda. 

Per quanto riguarda l’esigibilità degli accordi, le Parti hanno fatto un gran lavoro con il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014. Il problema è, semmai, che il Testo Unico non è stato attuato del tutto. Se il Governo dovesse recepirlo – è difficile che se ne discosti in modo sostanziale – si metterebbe la parola fine al tema dell’esigibilità degli accordi, aperto in modo serio dopo la Sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2013, sempre sul caso Fiat.

La novità che questo passaggio sta segnando è che il sistema delle relazioni industriali, anche se in modo non del tutto autonomo ma accompagnato dal decisore, sta facendo quadrato attorno al concetto di produttività aziendale. Ciò è importante soprattutto da un punto di vista culturale perché se una parte del salario matura nel caso in cui l’impresa va bene, allora diventa importante per tutti che questa vada bene. È forse la volta buona in cui saranno riconosciuti diritto di cittadinanza e dignità sociale a imprese e imprenditori?

Resta il fatto che, con la crescente contrattazione aziendale, il sistema datoriale – molto più in crisi a livello di rappresentanza di quanto non lo siano i Sindacati, come abbiamo già scritto – ha bisogno di ridarsi un orizzonte. Le aziende, contrattando direttamente, potrebbero scoprire di non avere convenienza a restare all’interno del sistema.

Se guardiamo ai nostri partner europei – in particolare a Germania e Francia – ci accorgiamo che la pratica delladerogabilità assistita è piuttosto diffusa. Derogabilità assistita, concretamente, significa accompagnamento (in forma di consulenza e/o assistenza) delle organizzazioni nazionali (delle Associazioni datoriali e del Sindacato dei lavoratori) laddove in azienda o sul territorio si avvii un tavolo negoziale. Le strutture nazionali delle Associazioni di impresa e del Sindacato possono partecipare anche alle trattative; è però solo dell’azienda e del sindacato aziendale e/o territoriale il potere di firma dell’accordo, anche quando in deroga al Ccnl e a fronte di parere contrario delle strutture nazionali.

Inoltre, nel caso in cui non vi fosse una rappresentanza sindacale o l’azienda non fosse iscritta ad alcuna Associazione, comunque l’impresa dovrà informare le organizzazioni sindacali e datoriali della volontà di avviare un percorso contrattuale con i propri lavoratori. Tale informativa si rivelerebbe occasione di promozione sia per il Sindacato nazionale che per l’Associazione datoriale. In ogni caso, non è obbligatorio il coinvolgimento del Sindacato nazionale o della sigla datoriale nella trattativa interna.

È evidente che le imprese hanno più bisogno del Sindacato aziendale/territoriale di essere assistite; e, in poche parole, nella derogabilità assistita queste sono assistite dalle loro Associazioni nel rispetto e nella libertà di scelte strategiche e contrattuali. Ecco cosa può dare una nuova prospettiva al sistema delle relazioni industriali e, in particolare, a quello datoriale.

 

Twitter @sabella_thinkin

Leggi anche

SINDACATI vs IMPRESE/ Se Cgil, Cisl e Uil non si sono (ancora) accorti della crisiSINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l'occupazione in ItaliaAMAZON USA, NO AL SINDACATO/ La sfida della rappresentanza nel capitalismo Big Tech