Appare piuttosto strana l’enfasi che è stata data al decreto sul cosiddetto “part-time agevolato”. Certo, si tratta di una novità che può avvicinare alcuni italiani alla pensione. Ma la sua reale efficacia è tutta da dimostrare. Già quando era stata inserita nella Legge di stabilità, questa misura appariva come quella più “debole” nel pacchetto sulle pensioni voluto dal Governo: l’aumento della no tax area per i pensionati o “l’estensione” di Opzione donna hanno un effetto (oltre che un costo non indifferente per le casse pubbliche) indubbiamente più chiaro e apprezzato. Chi, invece, vorrà o potrà utilizzare il part-time agevolato?



Secondo Repubblica, che vi ha dedicato il titolo di apertura in prima pagina (ieri), “arriva il part-time per 400mila italiani”. Peccato che questo numero corrisponda alla platea di lavoratori che potenzialmente potrebbero utilizzare la misura. Nella realtà, le risorse stanziate per quest’anno consentirebbero (si legge ancora su Repubblica) solo a 20mila persone (probabilmente attraverso il criterio “chi primo arriva meglio alloggia”) di lavorare meno e prendere poi la pensione piena.



Ma anche questo numero potrebbe essere lontano dalla realtà. Prima di tutto perché non è poi detto che imprese e lavoratori possano trovare vantaggiosa “l’offerta” del Governo. L’azienda, infatti, si troverebbe con un dipendente che passa da full-time a part-time. Tuttavia dovrebbe dargli uno stipendio più alto rispetto a quello dell’orario ridotto: infatti, in busta paga dovrebbe mettere anche la sua parte di contributi previdenziali che avrebbe versato nel caso il contratto fosse rimasto a tempo pieno. Che vantaggio dunque avrebbe a concedere questo tipo di contratto a un lavoratore? Forse solo se fosse una grande azienda che ha bisogno di “liberarsi” di un dipendente anziano (che magari non può licenziare per giusta causa) potrebbe trovare conveniente spendere un po’ meno per una posizione che ritiene “inutile”.



Siamo poi proprio sicuri che un lavoratore rinuncerebbe a una parte dello stipendio solo per avere del “tempo libero” in più? Se il suo salario non è elevato e serve anche a dare una mano a figli o nipoti potrebbe preferire “sopportare” di lavorare full-time altri tre anni prima di andare in pensione e garantirsi delle entrate in più. Se invece il suo stipendio è già cospicuo potrebbe pensare di “rinunciare” a una sua parte. 

Attenzione dunque: se i lavoratori più interessati alla misura fossero quelli con stipendi più alti, vorrebbe dire che i contributi figurativi da garantire loro sarebbero piuttosto costosi. Quindi, i fondi stanziati potrebbero non arrivare a soddisfare nemmeno 20mila domande.

Non va poi dimenticato che il part-time agevolato non sembra nemmeno in grado di garantire il ricambio generazionale nelle aziende. Quale incentivo ci sarebbe infatti all’assunzione di giovani? L’unica risposta che si trova è che nel caso si riduca del 60% l’orario di lavoro di un quadro si potrebbe utilizzare il risparmio della retribuzione che gli si sarebbe dovuta versare per assumere un giovane impiegato.

Dunque perché tanta enfasi su questa misura che non sembra poter riguardare tanti italiani (e nessuno appartenente al settore pubblico)? Una possibile risposta ce la dà sempre Repubblica. A pagina 7, di fianco all’articolone sul part-time agevolato, viene ricordato che presto arriverà il bonus da 500 euro per i diciottenni. Insomma, titoli e annunci per “grandi e piccini” in prossimità delle elezioni…