Il Presidente dell’Inps torna alla carica con le pensioni, cercando di vincere la sordità del Governo. Nell’ultimo trimestre 2015 ha presentato lo studio “Non per cassa ma per equità”, contenente alcune misure per ridurre la spesa pensionistica, razionalizzando la spesa assistenziale e i vitalizi più elevati. Recentemente ha lanciato un dato, prontamente ripreso ed enfatizzato dai media, che suscita rabbia soprattutto nelle nuove generazioni: quasi mezzo milione di italiani percepisce la pensione da oltre 36 anni, quindi da prima degli anni Ottanta; ci sono troppe “baby pensioni” in circolazione. A dire il vero, il mezzo milione si riferisce soltanto alle pensioni di vecchiaia e alle pensioni ai superstiti: considerando anche le pensioni di invalidità il numero raddoppia rasentando il milione (per l’esattezza 914.696), comprensibilmente perché a più di 80 anni aumenta il rischio di rimanere invalidi. L’età media alla decorrenza è complessivamente di 45,66 anni (54,9 per i trattamenti di vecchiaia).



A rigore, il termine “baby pensioni” si riferisce principalmente al sistema pubblico, dove prima degli anni ’90 si accedeva al pensionamento con circa 20 anni di anzianità lavorativa e, in alcuni casi, addirittura meno di 15 anni di servizio. Non saprei se esistono dati sul numero effettivo di “baby pensioni” ancora in erogazione, per farsi un’idea non demagogica delle dimensioni del problema. Esaminando la statistiche Inps, tuttavia, la distribuzione per età mostra che quasi 2,5 milioni di trattamenti di vecchiaia sono a favore di persone con più di 80 anni e rappresentano complessivamente il 26% dei trattamenti erogati.



Anche ammettendo che si possa tecnicamente parlare di baby pensioni per tutti, sorge la domanda – assai ingenua, ma mi viene spontanea – su che cosa bisogna fare, senza ovviamente ricorrere a un “omicidio di massa”, essendo naturale che con il progredire dell’età aumenti il numero dei pensionati.

Il Presidente dell’Inps propone l’introduzione di un contributo di solidarietà sugli importi più elevati, per favorire la flessibilità e l’introduzione di politiche attive sul lavoro: “Siccome sono state fatte delle concessioni eccessive in passato e queste concessioni eccessive pesano sulle spalle dei contribuenti – avrebbe detto a Vicenza secondo fonti di stampa – credo che sarebbe opportuno andare per importi elevati a chiedere un contributo di solidarietà per i più giovani e anche per facilitare un’uscita flessibile”.



Una proposta simile era già stata avanzata nel piano “Non per cassa ma per equità”, dove si proponeva l’applicazione di una correzione attuariale alle pensioni medio-alte, cioè superiori a 3.500 euro al mese, per rideterminare la quota retributiva del trattamento pensionistico. Avendo ottenuto allora un fermo diniego dal Governo, si ripiega ora su un più modesto contributo di solidarietà, che potrebbe essere svincolato da analisi attuariali circa la generosità del trattamento a fronte della spesa contributiva.

La distribuzione per importi, tuttavia, palesa una concentrazione verso il basso, poiché il 63,4% delle pensioni ha un importo medio mensile inferiore a 750 euro e di questa percentuale soltanto il 45,4% beneficia di prestazioni a sostegno del reddito (integrazioni al minimo, maggiorazione sociale, pensioni e assegni sociali e invalidità civile). I titolari di importi mensili superiori a 3.500 euro (i “ricchi”) sono molti di meno di quanto si sia propensi a credere: 200.356 trattamenti, pari all’1,1% del totale; basterebbero per portare un po’ di ossigeno ai conti previdenziali nel breve termine? Dico questo, dando per scontato che nel lungo termine il sistema sia sostenibile, viste le riforme succedutesi nel tempo con progressivo allungamento dell’età pensionabile: dal 2013 il numero delle pensioni ha invertito la tendenza e ha incominciato a diminuire, probabilmente soprattutto per effetto della riforma Fornero.

Come ho già avuto modo di notare, nelle proposte di Boeri la spesa pensionistica avrebbe il pregio di non scaricare il debito sui lavoratori attivi e, quindi, sul futuro, ma non se ne comprende la reale esigenza, a meno che i conti Inps non stiano davvero per esplodere, rendendo quindi necessario più di un campanello di allarme.

Non saprei quali siano state le intenzioni reali, ma l’uscita del Presidente dell’Inps è avvenuta proprio alla vigilia della presentazione del Documento di economia e finanza (Def), peraltro in un momento non facile per l’Italia, sia a livello nazionale, come dimostra la vicenda legata alle dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico, sia a livello internazionale, come dimostrano le difficoltà incontrate dal Premier nel viaggio in Usa e le continue tensioni con l’Europa. Comunque, anche questa volta Boeri ha ricevuto un secco “no” da parte del Governo, che forse non può andare oltre le proposte di flessibilità contenute nell’ultima Legge di stabilità.