Giuliano Poletti assicura che un intervento di riforma delle pensioni si farà solo dopo un confronto con le Parti sociali, rassicurando così chi, come Susanna Camusso, chiedeva al Governo di aprire un tavolo sul tema. Il ministro del Lavoro non ha in ogni caso indicato delle tempistiche, ma ha anzi sottolineato che “abbiamo bisogno di costruire una proposta praticabile perché questo Paese è stato pieno di discussioni del tipo ‘vorrei ma non posso”‘. Per certi versi, quindi, è come se Poletti stesse riconoscendo che la piattaforma unitaria presentata dai sindacati non può essere accolta così com’è. Di certo Cgil, Cisl e Uil non tarderanno a replicare al Ministro. Anche per Cesare Damiano il Governo dovrebbe aprire un confronto sulla riforma delle pensioni. “Il 2016, come ha affermato più volte lo stesso Renzi, deve essere l’anno della flessibilità delle pensioni”, ha ricordato l’ex ministro, secondo cui la piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil presentata all’esecutivo sul tema “rappresenta un ottimo punto di partenza per avviare un confronto di merito”. Damiano ha anche detto la commissione Lavoro della Camera è al lavoro per produrre un testo unificato sulle diverse proposte di legge in materia. Il deputato Pd ha infine ricordato i temi previdenziali su occorre dare risposte: “flessibilità, 41 anni di contributi, ottava salvaguardia degli esodati, opzione donna (verifica a settembre), ricongiunzioni, lavori usuranti, anticipo pensionistico per i nati nel 1952 (settore privato) e indicizzazione delle pensioni”.
Susanna Camusso torna a criticare il Governo per la mancanza di un riferimento alla riforma delle pensioni nel Def 2016. Il Segretario generale della Cgil ritiene che non si tratti di un buon segnale. Anche perché se so vuole introdurre la flessibilità con la Legge di stabilità occorrerebbe avviare già un confronto con le Parti sociali sul tema. Camusso, intervenendo a Radio Articolo 1, ha quindi invitato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a convocare un tavolo per discutere del tema pensioni.
Gli esodati sono pronti a scendere in piazza per chiedere l’ottava salvaguardia per i 24.000 ancora privi di un provvedimento di tutela, ma non dimenticano di perorare una riforma delle pensioni che dia delle risposte ai lavoratori precoci (che sostanzialmente chiedono l’approvazione di Quota 41) e delle donne che vorrebbero poter continuare a usufruire di Opzione donna, attraverso una proroga della possibilità di andare in pensione dopo 35 anni di contributi e a 57 anni e tre mesi di età. Lo ha rimarcato Francesco Flore, portavoce del Comitato esodati, in un’intervista a Blastingnews.
In attesa della riforma delle pensioni che, secondo le dichiarazioni del Governo, dovrebbe arrivare con la Legge di stabilità, molti italiani riceveranno a casa la busta arancione predisposta dall’Inps contenente la simulazione dell’assegno che si andrà a incassare una volta in pensione. Per il CorrierEconomia, i conti rischiano però di essere fuorvianti. Infatti l’Inps assume che ci sarà uno scenario di crescita del Pil dell’1,5%. Tuttavia la realtà, almeno al momento, è diversa e dunque le simulazioni potrebbero essere ottimiste, con differenze che possono arrivare anche a 400 euro al mese, stando ai calcoli di Progetica, società indipendente di consulenza in pianificazione finanziaria e previdenziale.
Nel fine settimana si è tenuto il Congresso del Partito socialista italiano, che ha visto la conferma di Riccardo Nencini alla carica di Segretario. Tra i punti programmatici del viceministro delle Infrastrutture, anche una riforma delle pensioni, capace di superare la Legge Fornero. Nencini ha anche parlato della necessità di garantire un reddito minimo di cittadinanza per chi non ha un’occupazione né una pensione, vincolato alla partecipazione a lavori socialmente utili. Tra le fonti di finanziamento per queste misure, il leader socialista ha ricordato l’aumento della tassa sui giochi.
Questa settimana, esattamente venerdì 22 aprile, gli esodati saranno ancora in piazza per chiedere a Governo e Parlamento di approvare un’ottava salvaguardia per quelle 24.000 persone che sono ancora prive di una tutela, a ormai quasi 5 anni dall’approvazione della Legge Fornero sulle pensioni. La Rete dei Comitati degli esodati ha organizzato (con Cgil, Cisl e Uil e i comitati dei lavoratori precoci) un presidio davanti alla sede del Mef, cui si chiede di restituire i 941 milioni di euro sottratti al fondo esodati, da utilizzare appunto per l’ottava salvaguardia. Si chiederà inoltre all’Inps di chiudere il più velocemente possibile la settima salvaguardia, così da redigere un report generale su tutti i provvedimenti di deroga finora emanati.
È partita finalmente la busta arancione dell’Inps he riporta il calcolo delle pensioni future per circa 18 milioni di italiani. Dopo molti rinvii e polemiche per questo provvedimento annunciato dall’Istituto di Previdenza Nazionale è finalmente partita, come ha annunciato lo stesso presidente Boeri, la busta arancione contenente una simulazione dell’importo della pensione futura sulla base di quanto finora versato, della retribuzione attesa e della data di uscita dal lavoro. Da metà di settimana prossima le prime buste spedite arriveranno nei vari domicili con l’obiettivo fissato di farlo prevenire a 1,5 milioni di lavoratori del pubblico non ancora in possesso del Pin Inps o Spid, ovvero la chiave digitale unica per i servizi della Pubblica Amministrazione. Arriverà poi anche ai 7 milioni di italiani che lavorano nel privato che hanno il medesimo problema sul Pin; mentre continuano le numerose discussioni sulla possibile riforma pensioni dopo quella Fornero, per gli italiani il discorso sugli assegni non lo dimenticano e molto di questo si giocherà anche l’attuale governo se non dovesse portare a casa una soluzione adeguata al problema.
Lo studio condotto dai colleghi della Stampa sulla riforma pensioni e sulle notevoli problematiche che il sistema pensionistico italiano incontrerà nel prossimo futuro è tutt’altro che roseo: incocciando previsioni demografiche e studi sulla spesa previdenziale, il quotidiano di Torino ha provato a riassumere il rischio implosione in una data ben precisa, il 2030. Attorno a quell’anno infatti andranno in pensione i figli del “baby boom” ovvero i nati nel biennio 1964-1965 quando l’Italia del miracolo economico partorì circa un milione di bimbi, Quei bambini, al compimenti dei 66-67 anni andranno in pensione e l’INPS potrebbe non avere la risorse necessarie per pagare e mantenere quegli assegni. Choc, implosione, picco di richieste, insomma la situazione è da monitorare e preoccupante con il periodo più critico che sembra poi essere fissato per il 2035. Sempre lo studio racconta come la situazione, se l’INPS dovesse reggere la “botta”, potrebbe migliorare tra il 2048 e il 2060. Insomma, non proprio ottime notizie.
Nel dibattito sulla riforma delle pensioni, il tema delle risorse assorbite per la spesa previdenziale viene spesso chiamato in causa Il Tempo ricorda quelli che sono i dati Istat. Nel 2015, sono stati spesi più di 261 miliardi di euro, con un aumento di 4 miliardi rispetto all’anno precedente. Di questi, 2,2 miliardi sono dovuti al pagamento del cosiddetto “bonus Poletti”, con cui il Governo ha rimborsato (secondo molti, non in maniera adeguata) i pensionati dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni voluto dal Governo Monti. Va detto che gli oltre 261 miliardi indicati dall’Istat non comprendono le prestazioni assistenziali.
Alcuni dati dettagliati mostrano che nel 2015 sono stati spesi 604 milioni per le pensioni di guerra, quasi 16 miliardi per prestazioni a invalidi civili, 1,1 miliardi per i non vedenti, 188 milioni per i non udenti e 4,7 miliardi per pensioni e assegni sociali. Quasi 209 miliardi sono invece relativi a pensioni di vecchiaia, 5,7 miliardi all’invalidità sul lavoro e 1,63 miliardi ai prepensionamenti. Le pensioni di reversibilità hanno superato i 43 miliardi, con un aumento dello 0,8% rispetto al 2014. Forse è per questo che ogni tanto torna fuori l’ipotesi (poi smentita) di una loro revisione.