Se Poletti ha dato il suo “la” con il tassello di pensionamento attivo attraverso il part-time (di certo non una leva di flessibilità generale per la pensione anticipata), Padoan e Nannicini hanno iniziato a dare prova di accordo dei loro strumenti per quello che potrebbe essere un concerto d’orchestra. Le dichiarazioni del ministro dell’Economia e del sottosegretario della Presidenza del Consiglio, delegato da Renzi, testimoniano tanto il progressivo avanzamento dei lavori, quanto l’apertura verso “soluzioni creative” nella possibilità di portare queste a delineare un quadro articolato e flessibile utile a gestire l’anticipo d’uscita per situazioni differenziate.



Positivo è stato quanto delineato da Padoan in termini di correlazione attiva tra pensionamento e mercato del lavoro, più volte segnalato, tra l’altro, su queste pagine. Ugualmente positivo quanto fatto intravvedere insieme a Nannicini a proposito del “cantiere in corso”. È  chiaro l’auspicio che il lavoro impegnativo di lavorare sui tasselli del puzzle, o che dir si voglia sulle diverse sezioni della partiture oltre che sugli strumenti per il concerto, porti a una soluzione che nelle sue articolazioni possibili sia per “riformare la riforma” pensionistica, senza rinunciare ai suoi risultati prospettici.



È proprio per l’obiettivo di delineare nel modo più ampio e coerente possibile il perimetro di quest’azione che attraverso queste pagine si è  proposto un contributo che coniugasse flessibilità, volontarietà e sostenibilità. Non va dimenticato, ma reso oggetto di un ” fine tuning” anche quanto già presente sia nel Job Act, sia nella Riforma Fornero, così da ottimizzare condizioni preesistenti.

Partiamo dall’ultima, attraverso quanto scritto, sempre su queste pagine, da Giuliano Cazzola. «Si prenda il caso, ad esempio, del pensionamento anticipato. È vero solo in parte che la riforma Fornero ha “superato” il trattamento di anzianità, perché facendo valere il requisito contributivo di 42 anni per gli uomini e di 41 per le donne (a cui vanno aggiunti alcuni mesi in relazione all’evolvere della speranza di vita) è ancora possibile varcare l’agogna soglia della quiescenza. Il canale solo contributivo, del resto, era quello più battuto anche in precedenza, rispetto al meccanismo delle quote. Le norme del 2011 hanno esteso l’aggancio con la speranza di vita anche al requisito contributivo, ma hanno assorbito i 12 mesi di “finestra” (a cui erano sottoposti i lavoratori dipendenti) e i 18 mesi (per quanto riguarda i lavoratori autonomi). In sostanza, nel caso del pensionamento anticipato il requisito anagrafico dei 62 anni (peraltro praticamente “sospeso” fino a tutto il 2017) è previsto soltanto agli effetti di una penalizzazione economica molto più modesta (l’1% per i primi due anni, il 2% per quelli successivi, rispetto al limite “virtuoso” dei 62, peraltro non sottoposto all’indice dell’attesa di vita) di quelle che circolano nei progetti dei sostenitori della flessibilità».



Appare comprensibile che annullare il requisito anagrafico, citato da Cazzola come sospeso fino al 2017, in presenza di un montante contributivo così elevato, nonché pareggiare eventualmente uomini e donne a 42 anni senza penalizzazioni, andrebbe peraltro incontro ai desiderata di Damiano, Baretta e non solo. Quindi sarebbe senz’altro esempio di un “fine tuning”. Ma come si sa, un’operazione siffatta, soprattutto se abbandona il concetto di penalizzazione a favore di quello di creazione e allocazione di risparmio previdenziale deve trovare coerenza. Deve trovare coerenza in un puzzle dove tutti i pezzi realizzino bene il quadro, o dove tutti gli strumenti suonino bene la partitura della sinfonia. Cos’è  allora che crea una convergenza tale per questo obiettivo?

La risposta è semplice e complessa (ma non troppo) al tempo stesso. Semplice perché con la  volontarietà nel percorso contributivo si realizza lo scopo della flessibilità, non penalizzata; una volta fissata la soglia oltre la quale uscire. Semplice perché nell’uso di soglie (evitando le quote perché demonizzate) diverse, progressive e legate alla speranza di vita si avrebbe la coniugazione di tempi di permanenza al lavoro e montanti dovuti. Semplice perché ogni contribuzione, in mancanza del quantum, potrebbe essere finanziata da contributors (banche, aziende, Inps, assicurazioni) diversi dal lavoratore secondo la natura dello stato di necessità. 

Complessa (ma non troppo) perché richiede di ottenere lo stesso risultato di sostenere la spending capacity e quindi il potere di acquisto di una crescente quota di anziani sul totale della popolazione, rimodulando al contempo le condizioni di creazione e uso di risparmio previdenziale. Analogamente complessa (ma non troppo) perché richiede uno sforzo per un cambio di mentalità  dei sindacati e degli opinion maker “primedonne” , ma paradossalmente più semplice verso l’Ue rassicurata dalla convinzione di mantenere l’architettura basilare della previdenza nella L.241 e modifiche successive, in una logica anche di sostenibilità del debito secondo parametri Bri.

Complessa, sempre non troppo, perché se non è tutto vero “l’automatismo della porta girevole” (esce il vecchio entra il giovane), è vero un comportamento fisiologico esteso per cui diplomati/laureati preferiscono un’opportunità diversa a nessuna opportunità. Il che non guasta. Altrettanto complessa perché obbligherebbe Boeri, e le risorse di valore che ha, a concentrarsi su come contribuire alla sostenibilità della riforma, proponendo a sua volta (Poletti benedicente) la “buona riforma” di rivisitazione e separazione di previdenza ed assistenza. Cosa che a ben vedere risulta difficile, ma non più del completamento, ora, della Salerno-Reggio Calabria.