Il Governo sta studiando una riforma delle pensioni all’insegna della flessibilità, calibrata su tre tipologie di destinatari. Lo ha spiegato Tommaso Nannicini in un’intervista a Il Messaggero. Chi vuole lasciare il lavoro in anticipo dovrebbe fare i conti con una penalizzazione forte (dovuta al fatto che per il bilancio pubblico ci sarebbero costi intorno ai 5-7 miliardi di euro). Coloro che invece restano senza occupazione a pochi anni dall’età pensionabile potrebbe andare in quiescenza, sempre con una penalizzazione, “pagata” però in gran parte dallo Stato. La terza categoria di destinatari di interventi è costituita dai lavoratori vicini all’età pensionabile che un’azienda potrebbe coinvolgere in un processo di ristrutturazione: in questo caso sarebbe l’impresa stessa ad accollarsi i costi della flessibilità. Nannicini ha anche spiegato che entro la fine della legislatura il Governo interverrà a sostegno delle pensioni minime.



Il Parlamento prova a dare indicazioni al Governo sulla riforma delle pensioni. La maggioranza ha infatti presentato una risoluzione per impegnare l’esecutivo a introdurre la flessibilità nel sistema pensionistico, “anche con la previsione di ragionevoli penalizzazioni, nonché interventi, anche selettivi, in particolare nei casi di disoccupazione involontaria e di lavori usuranti”. Ovviamente sulla percentuale da utilizzare per far sì che una penalizzazione sia “ragionevole” non c’è alcuna indicazione. Ed è chiaro che ci saranno non pochi scontri sul tema. Da questo punto di vista sappiamo che la proposta Damiano-Baretta prevede un 2% per ogni anno di anticipo, mentre Boeri era arrivato a ipotizzare un 3%. Il Governo, dunque, non dovrebbe presumibilmente superare queste soglie per rispettare la richiesta del Parlamento.



Elsa Fornero è tornata a parlare in televisione di riforma delle pensioni, ospite del programma Ballarò. L’ex ministro del Lavoro si è detta contraria a “tornare indietro” sulle regole pensionistiche e ha evidenziato come in Italia ci siano più risorse a disposizione rispetto a 4 anni fa e il Governo deve quindi decidere se usarle per le pensioni o per altri obiettivi. Nel primo caso, per la Fornero la priorità andrebbe data ai lavoratori precoci. Tra le altre cose, l’ex ministro ha ricordato che il Governo di cui ha fatto parte si è trovato a gestire una situazione di emergenza, causata anche dal comportamento della politica negli anni precedenti.



Ieri hanno avuto molta eco i dati del rapporto Osservasalute 2015, secondo cui in Italia l’aspettativa di vita è diminuita. Una notizia che potrebbe avere degli effetti anche sul sistema pensionistico. Lo mette in evidenza il Quotidiano nazionale, ricordando che l’aspettativa di vita è uno dei parametri usati per determinare il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione. Dunque se diminuisce, si potrà andare in pensione un po’ prima. Forse. Perché l’adeguamento ci sarà nel caso solo nel 2018. Inoltre, il quotidiano ricorda che il testo della Legge Fornero parla di adeguamento in base agli “incrementi” dell’aspettativa di vita. Dunque una diminuzione della stessa potrebbe non portare alcun cambiamento nell’età pensionabile. 

Di riforma delle pensioni si è parlato ieri a diMartedì, dove tra gli ospiti c’era anche Cesare Damiano. L’ex ministro del Lavoro ha spiegato che secondo lui non ci sarà un ampliamento del bonus da 80 euro alle pensioni minime: non essendo scritta da nessuna parte, sarà una promessa che non verrà mantenuta. Discorso diverso invece per quel che riguarda la flessibilità: dato che nel Def se ne parla, il Governo intende realmente impegnarsi per introdurla nel sistema pensionistico. Resta da capire con quali concrete modalità. Il ministro Padoan aveva infatti fatto capire che la proposta Damiano-Baretta così com’è non è sostenibile per i conti pubblici italiani.

Negli ultimi giorni il tema della riforma delle pensioni è ritornato ad essere centrale con alcuni strumenti oggetto di riflessione da parti sociali, partiti e dagli stessi lavoratori. Si sta parlando tantissimo della necessità di aprire ad una flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e dell’opportunità di prevedere una ottava salvaguardia per dare supporto ad alcune classi di esodati che sono rimasti fuori dalle precedenti sette. Tuttavia, in queste ore si è fatta largo una certa preoccupazione, contornata da polemiche, sulla presunta intenzione da parte del Governo Renzi di andare ad intervenire sulle pensioni di reversibilità con un apposito strumento da inserire nel ddl Povertà. Una illazione che è stata immediatamente smentita dal Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che nel corso di un’intervista ha fatto presente come nel ddl non ci sarà nessun intervento di razionalizzazione delle prestazioni di natura previdenziale soprattutto per quanto concerne le pensioni di reversibilità. Lo stesso Ministro ha spiegato che il Governo ha in realtà predisposto “uno specifico emendamento al ddl contenente norme relative al contrasto della povertà” e nello specifico “la soppressione del riferimento alla razionalizzazione di altre prestazioni di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi”.