È stata pubblicata ieri la consueta nota mensile dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana. In sintesi, almeno secondo lo studio dell’istituto di statistica, la nostra economia continua, anche oggi, a presentare alcuni elementi di incertezza dal lato delle spinte alla crescita dell’offerta di beni e servizi, mentre, dal lato della domanda, si mantiene, ahimè, stabile la crescita dei consumi, sebbene accompagnata da una lieve ripresa degli investimenti.



Se questo ci può, almeno parzialmente consolare, anche negli Stati Uniti, nonostante la revisione al rialzo del Pil del quarto trimestre (da +1,0 a +1,4% la variazione trimestrale annualizzata), le informazioni congiunturali relative alla prima parte dell’anno continuano a delineare un periodo di crescita contenuta.



Anche guardando alla nostra Europa il quadro è quello di una fase di moderata espansione. La produzione industriale in gennaio ha segnato un marcato aumento (+2,1% su dicembre) e, allo stesso tempo, la bassa inflazione (-0,1% su base tendenziale in marzo) e l’andamento del mercato del lavoro continuano a sostenere i consumi. Nonostante ciò a marzo l’indicatore del clima di fiducia dell’area euro ha segnato la terza flessione consecutiva: a una sostanziale stabilizzazione dell’industria si è contrapposto, infatti, un deterioramento dei servizi e un deciso, e preoccupante, peggioramento dei giudizi dei consumatori.



Venendo al nostro Paese si deve registrare come, nel quarto trimestre del 2015, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici, misurato al netto dell’andamento dell’inflazione, abbia subito un calo (-0,7%) rispetto al trimestre precedente, che ha provocato, ovviamente, una flessione del reddito lordo disponibile (-0,6%). Tale calo è stato compensato da un ribasso della storica propensione al risparmio che ha reso possibile la prosecuzione della tendenza positiva dei consumi (+0,4%). A gennaio le vendite al dettaglio in volume sono rimaste, infatti, invariate rispetto al mese precedente, mentre sono risultate negative per il terzo mese consecutivo su base tendenziale (-1,6%). Il dato congiunturale ha evidenziato poi un incremento delle vendite alimentari (+0,3%) e la riduzione di quelle non alimentari (-0,1%).

Se si guarda poi al nostro, nonostante tutto, sofferente mercato del lavoro, i dati destagionalizzati delle forze di lavoro, riferiti al mese di febbraio ci mostrano una diminuzione dell’occupazione (-0,4%, -97 mila unità), dopo l’incremento di gennaio (+73 mila unità, rispetto a dicembre). Una contrazione, che è bene sottolineare, è stata particolarmente consistente per i dipendenti a tempo indeterminato (-0,6%) e quelli a termine (-1%) a fronte di una crescita della componente del lavoro autonomo (+0,3%). Il quadro in peggioramento è confermato, sempre secondo l’Istat, dall’andamento del tasso di disoccupazione aumentato di un decimo di punto e attestatosi sui valori già osservati a dicembre (11,7%).

In questo quadro segnali moderatamente positivi per l’evolversi nei prossimi mesi provengono, tuttavia, dalle attese formulate dagli imprenditori a marzo (per il successivo trimestre), in miglioramento nel settore manifatturiero e nel commercio mentre sono stabili nelle costruzioni e nei servizi.

La fotografia, insomma, scattata da quei pericolosi “gufi” dell’Istat è, perlomeno, in bianco e nero. Nonostante, infatti, le dosi abbondanti di ottimismo provenienti da Palazzo Chigi, l’Italia, e in particolare la sua economia, non sta cambiando verso e la disoccupazione è lungi dall’essere rottamata. Probabilmente è ora che anche la politica, e non solo i ricercatori Istat, ne prenda atto e provi a mettersi, nuovamente, in sintonia con le ansie e le preoccupazioni di un Paese che non è, ahimè, ancora uscito dalla Grande Crisi.