«Se vogliamo fare una riforma che vada nella direzione dell’equità dobbiamo aiutare i giovani che sono i più penalizzati. Con un contributo del 2-3% complessivo sulle pensioni retributive esistenti si potrebbero finanziare misure specifiche di qualche miliardo per migliorare l’occupabilità e la formazione dei giovani». È la proposta di Luca Spataro, professore di Economia politica all’Università degli Studi di Pisa. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato aveva sottolineato: “Ci sono margini per ragionare sia sugli strumenti sia sugli incentivi per migliorare le opportunità per chi sta per andare in pensione e per chi deve entrare nel mondo del lavoro. In questo senso sono aperto a forme di finanziamento complementare”.



Come ritiene che si possa realizzare la flessibilità in uscita di cui parla Padoan?

La flessibilità è un principio che può essere utilizzato e deve essere utilizzato in presenza di un metodo di calcolo delle pensioni che è contributivo. Il metodo contributivo infatti non dà regali, come invece avviene con il metodo retributivo ancora in larga parte vigente, né penalizzazioni: la pensione infatti, con il metodo contributivo, è esattamente commisurata ai contributi versati e inversamente proporzionale all’aspettativa di vita residua.



Condivide le rimostranze di chi è stato penalizzato dalla riforma Fornero?

Capisco le esigenze di coloro che, pianificando un’uscita dal lavoro in base ai propri programmi di vita di qualche anno fa, hanno visto frustrate le proprie aspettative dalle recenti riforme. Ma la priorità in questo momento va data a chi questi programmi di vita non li ha ancora potuti fare: i giovani.

Resta il fatto che la riforma Fornero crea un sistema molto più rigido che in passato…

Dopo il 2008 viviamo in una fase di emergenza, in cui ognuno di noi ha dovuto sostenere sacrifici. Per esempio la nuova tassazione  sui fondi pensione ha spiazzato milioni di risparmiatori, giovani e meno giovani. L’eliminazione della tassazione sulla prima casa ha favorito invece le generazioni più anziane, in larga parte proprietarie di un’abitazione.



Secondo lei qual è la misura più urgente per creare maggiore equità?

Il vero patto di solidarietà intergenerazionale va ridiscusso ora, o il nostro Paese non riuscirà a mantenere i livelli di prosperità che ha avuto finora. Questo patto deve prevedere un investimento serio nell’occupazione, in particolare per le giovani generazioni. Tuttavia vorrei fare chiarezza su un punto.

Quale?

La staffetta generazionale di cui si parla spesso, per cui mandando in pensione anticipata i lavoratori più anziani si creerebbe maggiore occupazione per i giovani, è un concetto molto opinabile e non sostenuto da evidenze empiriche. La vera evidenza empirica che conosciamo è che Paesi che crescono hanno tassi di occupazione alti a tutte le età, Paesi in difficoltà hanno disoccupazione a tutte le età o hanno mandato in pensione anticipata troppi lavoratori. In questo momento vedo solo piccoli spazi correttivi, in termini di flessibilità, per lavoratori precoci o per lavori usuranti. 

La dichiarazione Padoan sembra fare riferimento a un’ipotesi di prestito pensionistico. Lei come la valuta?

In linea di principio potrebbe essere una misura interessante. Il fatto che il prestito sia erogato dalle banche e che lo Stato si faccia carico solo degli interessi non farebbe aumentare il debito pubblico. Inoltre potrebbe rappresentare un meccanismo di trasmissione della politica monetaria espansiva operata dalla Banca Centrale, con il vantaggio che i soldi andrebbero direttamente nelle mani dei consumatori.

 

Ci sono anche dei rischi legati al prestito pensionistico?

Purtroppo sì. In questo modo si rischia di creare un debito pubblico occulto e aumentare comunque la massa dei pensionati. Per questo andrebbe eventualmente limitata a pochi e specifici interventi, come per esempio nel caso dei lavoratori precoci.

 

Lei quali altre misure propone?

Vedo necessario proseguire sul part-time dei lavoratori anziani e sulla decontribuzione per la buona occupazione dei giovani. L’Italia spende 260 miliardi in spesa pensionistica. Con un contributo del 2-3% complessivo sulle pensioni retributive esistenti (fatte salve le pensioni più basse e tenendo conto di una qualche forma di progressività), o sui redditi/patrimoni più elevati, si potrebbero finanziare misure specifiche di qualche miliardo per migliorare l’occupabilità e la formazione dei giovani. Questa misura sarebbe una vera applicazione del principio della condivisione del rischio su cui è improntato un sistema previdenziale pubblico, e la dimostrazione reale che il Paese scommette sulle generazioni future.

 

(Pietro Vernizzi)