«Oggi abbiamo toccato il livello di 1,37 lavoratori attivi per ogni pensionato. Per avere un minimo di sicurezza, questo livello va portato a 1,5 o 1,55. Il principale problema delle pensioni è dunque quello di aumentare l’occupazione giovanile». Lo afferma Alberto Brambilla, esperto di pensioni ed ex sottosegretario al Welfare. Oggi si chiude “Giornata nazionale della previdenza” organizzata a Napoli da Itinerari previdenziali di cui Brambilla stesso è Presidente. Tra i relatori dell’evento anche il presidente Inps, Tito Boeri, il professor Maurizio Del Conte, il segretario confederale Cisl, Maurizio Petriccioli, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Brambilla, come ritiene che vada affrontata la riforma delle pensioni annunciata dal governo?
Il principale problema che noi abbiamo è aumentare l’occupazione al di sotto dei 29 anni. Il sistema pensionistico è già ben riformato e sta in piedi, ma il sistema vigente è quello a ripartizione. Quest’ultimo presuppone che i contributi versati anno per anno siano il più possibile sufficienti per pagarsi le prestazioni pensionistiche. Oggi abbiamo toccato il livello di 1,37 attivi per ogni pensionato. Per avere un minimo di sicurezza, questo livello va portato a 1,5 o 1,55. Tutti i nostri sforzi devono quindi essere orientati a cercare di aumentare il più possibile l’occupazione giovanile, agevolandola dal punto di vista fiscale attraverso Ires e Irap.
Da quali categorie si può partire per riformare le pensioni?
Ci sono determinate tipologie di persone come i lavoratori precoci, gli esodati, quanti hanno situazioni pesanti dal punto di vista dell’assistenza ai familiari. Queste categorie arrivate ai 62-64 anni potrebbero beneficiare di una flessibilità in uscita, la cosiddetta Ape. Il primo pezzo è già stato fatto con il part-time agevolato che come ha annunciato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, partirà il 20 maggio.
Come funzionerà il part-time agevolato?
Il part-time agevolato è un modo per facilitare l’uscita di tutti coloro che si trovano in una situazione di parziale eccedenza nei confronti delle loro imprese. In questo modo si salva il loro posto di lavoro e si consente un’uscita anticipata attraverso il cosiddetto “part-time verticale”. Chi ne è coinvolto svolge cioè tutto il lavoro nel primo anno e mezzo e poi si rimane a casa con 18 mesi di anticipo. Ora bisognerà trovare altre formule per un’uscita agevolata.
Lei come valuta queste misure?
Valuto positivamente quanto fatto finora dal governo, ma il nostro primo obiettivo è assolutamente aumentare l’occupazione giovanile perché solo in questo modo noi salvaguardiamo le pensioni.
Come funziona invece il prestito pensionistico proposto dal governo?
Un pensionato esce anticipatamente, riceve una pensione da mille euro lordi che paga il sistema bancario perché c’è la garanzia dello Stato. Questo però è un sistema che deve essere ancora tutto progettato e sviluppato. È un’idea, ma manca di tutti i dettagli operativi.
A quanto ammonterebbero le penalizzazioni con questo sistema?
Se io anticipo l’uscita di tre anni ricevendo un assegno da mille euro, con un prestito pensionistico da 13mila euro ogni anno, devo restituire 36mila euro nei successivi 15 anni. Quindi è evidente che per quel periodo di tempo avrò almeno una mensilità che io devo restituire perché ho ricevuto un anticipo. Si tratta di valutare se è un sistema utile e chi potrà utilizzarlo.
(Pietro Vernizzi)