Non è che volesse provocare, ma no. E non è nemmeno vero quel che le malelingue dicono, e cioè che certe scelte sono anzitutto, o meglio soprattutto, mediatiche. È che, normalmente, certe decisioni in ogni Paese che si rispetti si prendono solo il 1 maggio. È proprio una consuetudine, un must, come si dice oggi. Fa cool convocare il Cipe il 1 maggio, è trendy decidere di investire 3,5 miliardi di euro proprio il giorno in cui “the others”, gli altri, come diceva Radio Londra nel lontanissimo 1945, marciano qui e là nelle città italiane parlando di lavoro che non c’è, di pensioni basse, di contratti da rinnovare, di incidenti sul lavoro, di tasse da tagliare a quelli che le pagano e da far pagare ai furbetti del quartierino.
Non c’è che dire, anche ieri, 1 maggio, è andata in onda, più puntuale dell’ultimo appuntamento di “Un posto al sole”, l’ennesimo episodio della saga “Sindacato (rosso) non avrai il mio scalpo”, protagonista Matteo Renzi, certo meno bello di Robert Redford, ma altrettanto deciso a vender cara la pelle e a non lasciarsi metter sotto da “quelli là”, Cgil Cisl e Uil che in tutta Italia hanno ricordato che il 1 maggio è la Festa del lavoro.
E così mentre Camusso, Furlan e Barbagallo, a Genova come in tutto il mondo, si rivolgevano al loro popolo, Matteo indirizzava un devoto pensiero “per chi il lavoro non ce l’ha”, ma non senza aggiungere che “da quando siamo al Governo ci sono 398 mila posti di lavoro in più, di cui 354 a tempo indeterminato. E ci sono 373 mila disoccupati in meno. Merito del Jobs Act”. E a dimostrare che “c’è chi parla e chi fa”, si è limitato a ricordare sull’amatissima pagina di Facebook che “ho scelto di festeggiare il primo maggio accogliendo gli operai del Sulcis che attendono la ripartenza completa di Eurallumina. Ho poi convocato il Cipe che ha sbloccato 2,5 miliardi di euro per la ricerca universitaria, 1 miliardo per i beni culturali e alcune opere infrastrutturali fondamentali dalla Campogalliano-Sassuolo fino all’acquedotto molisano centrale e alle infrastrutture tra Brescia e Verona, oltre a Frejus e Brennero”. Insomma, cari italiani state tranquilli in vacanza, perché il vostro Governo veglia e agisce. Mica parla e proclama, no veglia proprio e agisce.
Ma davvero c’è un’Italia del fare e una del proclamare, del contestare, del dichiarare per poi alla fine dire sempre di no? Davvero questa macchietta operistica, clamorosamente messa in atto pure oggi rispecchia una realtà? Davvero l’elemento simbolico, approvare progetti per oltre 3,5 miliardi il 1 maggio, rinsalderà negli italiani la fiducia nel Governo e li convincerà che nessuno può essere meglio di “Renzino nostro”?
L’elemento simbolico in politica conta, e le opere che l’investimento miliardario dovranno realizzare sono importanti. Ma c’è come un amaro di fondo, una nota sfumata quanto stonata in questa continua insofferenza reciproca tra una parte del sindacato e il capo del Governo. È come se queste due parti ogni volta stessero giocando una partita di calcio ma usando le regole della boxe. Uno spettacolo talora desolante, talora irritante, quasi sempre inutile e dispendioso.
I sindacati in piazza hanno fatto solo retorica? Mica vero. Nelle centinaia di discorsi tenuti, c’era certo tanta desolazione, ma anche e soprattutto tanta speranza; si sono sentiti accenti di disperazione, ma anche canti e slogan che chiedevano solo di poter riporre un po’ di speranza nel domani. Tutti contro il Governo? Macché. Le parole dei leader sindacali hanno espresso soprattutto il desiderio di poter fare qualcosa per questo Paese e per la sua gente: Annamaria Furlan, la leader della Cisl, in questo è stata chiarissima. Nessuna afflizione, niente dinieghi a priori, nessun no: ma tanta, tantissima voglia di collaborare con il Governo per risolvere i problemi, per far uscire questa Italia dalle secche.
E quindi? la differenza, il punto di scontro, l’Anello di Tolkien, dove si nasconde, dov’è? Sta forse nella convinzione renziana che i sindacati sanno sempre e solo dire di no? Forse anche in questo, certo, ma limitarsi a ciò equivarrebbe ad attribuire al capo del Governo un limite di intelligenza, cioè di capacità di leggere nella realtà, che egli di sicuro non ha.
Il nodo dello scontro, uno scontro che non sta facendo del bene all’Italia, sta piuttosto nella concezione centralistica, diremmo nella vocazione presidenziale, del nostro presidente del Consiglio? Agli occhi di qualche sindacalista egli pare, infatti, affetto da “luigismo”, una sottile sindrome che lo porta a considerare che lo Stato si incarna in lui, e che fuori da lui non c’è Stato. Scherzando arrivano a dire che per lui “Extra Renzi nulla Respublica”.
Anche qui: non esageriamo e lasciamo la risposta ai sociologhi che tra qualche anno ci sveleranno quel che tutti nel frattempo avranno già saputo e conosciuto. Di fatto, però, agli italiani oggi è arrivato un duplice segnale. Da un lato chi ha detto loro che insomma che c’è anche qualcosa non va. Non è che tutto va male, ma neppure si può dire che tutto va bene. E dall’altra il discorso di chi ha detto che, beh sì, qualcosa che non va ancora c’è, ma badate bene che il vostro Governo sta lavorando e vi sta portando fuori dalle secche.
Epperò, ora che li risentiamo, ci tocca riconoscere che questi due discorsi hanno pure qualcosa in comune. In effetti entrambi sono d’accordo nel dire che qualcosa non va, che qualche problema in Italia c’è. E questo gli italiani, i tanti, tantissimi che ieri erano in piazza e anche quelli che in piazza non c’erano, lo sanno. Perché lo provano quotidianamente sulla loro pelle.
Ma allora, concludendo, a noi, poveri commentatori, verrebbe da dire che Renzi e i sindacati non è che sono proprio così in disaccordo tra loro, che un punto su cui lavorare c’è. Così, presi da una improvvisa bontà post festiva, noi miseri tapini ci sentiamo di fare un appello anche noi, come quelli dei grandi: orsù Mister President, faccia uno sforzo e convochi i sindacati a palazzo Chigi nella famosa sala verde per una vera trattativa su fisco, pensioni, contratti. Li ascolti, magari rubi pure qualche loro idea, e vedrà che in parecchi potrebbero forse trarne qualche vantaggio. Lei, il suo Governo e, soprattutto, gli italiani