Come ben noto, il Jobs Act, in particolare il decreto 150/2015, è intervenuto sulla governance delle politiche attive del lavoro (le cosiddette “pal”). L’azione di riforma ha così ridefinito gli attori della rete di erogazione delle stesse e le loro funzioni. In particolare, al ministero del Lavoro, oltre ai compiti tradizionali, spetterà, innanzitutto, fissare e verificare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire, ovviamente su tutto il territorio nazionale. Sarà così chiamato a definire un Piano triennale di programmazione, e un relativo Piano operativo annuale di attuazione, relativo alla “riduzione della durata media della disoccupazione, ai tempi di servizio, alla quota di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro”, individuandone indicatori di risultato sulla base dei quali misurare le prestazioni dei diversi operatori pubblici e/o privati.
In questo quadro è certamente interessare leggere il recente (pubblicato solo pochi giorni fa) rapporto di monitoraggio sui Servizi per il lavoro 2015 di Isfol che ci racconta lo stato di avanzamento organizzativo e funzionale dei servizi per il lavoro, anche al fine di realizzare un’utile mappatura di quei modelli che integrano, in maniera particolarmente proficua, le azioni degli operatori pubblici con quelli privati. Un’attività di monitoraggio, è bene sottolinearlo, che copre i ben 532 Centri per l’impiego italiani e che ricostruisce, come quasi sempre nel nostro Paese, un quadro caratterizzato, complessivamente, da elementi di elevata disomogeneità territoriale, sia in termini di personale impiegato che di volume e caratteristiche dell’utenza dei Centri per l’impiego.
Presso i Cpi operano, quindi, secondo l’Isfol, 8.798 addetti con una netta concentrazione nelle Regioni del Sud Italia e una marcata prevalenza di dipendenti a tempo indeterminato. La quota di personale, a vario titolo, “precario”, tuttavia, in alcune regioni risulta particolarmente rilevante, sebbene, in generale, la gran parte del personale risulti assunto con contratto a tempo indeterminato (88%).
Se si guarda poi l’utenza servita, al 31 dicembre 2014 il volume complessivo degli utenti registrati nei Centri per l’impiego, con una dichiarazione di immediata disponibilità attiva, ammonta a ben 9.692.346 persone, con una leggera prevalenza di utenza femminile (52,8%) e un’incidenza di under 25 di poco superiore al 13% del totale (pari a 1 milione e 260mila unità).
In questo quadro generale, l’avvio, e l’implementazione, di Garanzia Giovani (anche) in Italia avrebbe dovuto rappresentare un elemento di significativa innovazione e sperimentazione, per l’utilizzo, in particolare, di un modello di profilazione degli utenti, dell’applicazione di costi standard, per lo sviluppo del sistema informativo e, non da ultimo, per l’ingresso (finalmente) anche degli operatori privati accreditati anche in contesti regionali in cui quest’opportunità aveva trovato molti ostacoli di natura politica e/o culturale.
È, indubbio, tuttavia, che, anche nelle regioni in cui sono presenti i soggetti accreditati, il carico di lavoro risulta essere comunque ancora molto sbilanciato a sfavore dei Cpi. Unica significativa eccezione è quella rappresentata dal famoso modello “dotale” lombardo, dove è stato possibile, così almeno certifica l’Isfol, abbattere considerevolmente il carico di lavoro sulle singole strutture, sia pubbliche che accreditate, con valori medi molto vicini a quelli “ottimali”.
C’è da auspicare, insomma, che il Governo, e la nuova Anpal, guardino con molta attenzione a quanto è stato realizzato in questi anni in Lombardia. Un’esperienza che, pur con i dovuti, e ovvi, correttivi, potrebbe diventare così una “best pratice” a cui tutto il Paese dovrebbe tendere. La #svoltabuona, infatti, si realizza, anche, se l’Italia, cercando di avvicinarsi ai modelli più virtuosi di flexicurity, sarà in grado di dotarsi di un sistema moderno, efficace e sussidiario di politiche attive per chi è ai margini, o fuori, del mercato del lavoro.