Un rapporto Istat pieno di bad news sulla situazione occupazionale in Italia? Non ne è convinto Antonio Bonardo, senior pubblic affairs officer di GiGroup, multinazionale dei servizi per il lavoro.

L’Istat dice che il nodo della disoccupazione giovanile non si sblocca se non c’è turnover generazionale. La flessibilità in uscita è davvero la priorità e il vincolo per stimolare l’occupazione?



Credo che al fine di rilanciare strutturalmente l’occupazione giovanile sia molto più decisiva la crescita economica da un lato e l’allineamento della formazione scolastica e professionale al mondo del lavoro. Oggi c’è’ molto mismatching fra domanda e offerta di competenze. Favorire il turnover generazionale può comunque rappresentare un’azione di breve periodo, per accelerare una prima riduzione dello stock dei giovani disoccupati.



L’Istituto di Statistica segnala che sono cresciuti i rapporti di lavoro a tempo determinato, mentre sono in calo i collaboratori.

Questo è’ un chiaro effetto del Jobs Act, che ha spostato la flessibilità da contratti precarizzanti come il “cocopr”o a quelli piu tutelanti come il lavoro determinato e “flexsicuro” o come la somministrazione. Il Jobs Act comincia a funzionare, Bisogna attenderne tutto il dispiegamento e svilupparne alcune dimensioni, ma funziona: si sta dimostrando una riforma vera.

I laureati però, secondo l’Istat, hanno minori garanzie di trovare lavoro..



Sul canale universitario è bene non generalizzare: i laureati in discipline economiche, scientifiche o ingegneristich continuano a non soddisfare le richieste del mercato. C’è invece una sovra-offerta di laureati in materie umanistiche e giuridiche. ed è un caso lampanto di disallineamento fra sistema educativo e sistema produttivo.

I “Neet” – i giovani fuori dall’occupazione, dalla scuola e dall’addestramento professionale – restano una grossa sacca socioeconomica: soprattutto, sottolinea l’Istat, paiono sempre più consapevoli della propria condizione di “outsider” e desiderosi di uscirne.

Il problema dei Neet è’ molto più di quanto si creda figlio dello spregio culturale del lavoro, figlio di una hybris di lungo periodo, germogliata nel Sessantotto e non ancora sradicata. Tutti dobbiamo impegnarci a ricostruire un approccio positivo al lavoro nei giovani: lavoro anche manuale, il prima possibile’. Anche con il lavoro con il lavoro in casa.

L’unica vera buona notizia dall’Istat è che i giovani imprenditori sembrano più propensi ad assumere i loro coetanei.

Non è sorprendente: i giovani imprenditori danno vita a start-up innovative, che sono quelle con piu alto potenziale di sviluppo e pertanto di creazione di posti di lavoro. Vanno aiutati con ogni mezzo.