Il Jobs Act, in particolare il D.lgs. 150/2015 relativo alle “politiche attive”, introduce “l’assegno di ricollocazione” (già contratto di ricollocazione nel decreto 22 di pochi mesi prima) a favore dei lavoratori disoccupati, e beneficiari di Naspi, da più di 4 mesi, per rendere, almeno nelle intenzioni dell’esecutivo, più efficace e fluida l’assistenza ai lavoratori in cerca di occupazione e migliorare le prestazioni del sistema. 



“L’assegno” che, è opportuno ricordarlo, sarà riconosciuto solo ai percettori della Naspi (la nuova tutela in caso di disoccupazione) da più di 4 mesi, avrà un valore economico proporzionato “al profilo” del soggetto da assistere. Più, quindi, la persona espulsa dal mercato del lavoro è lontano da questo, maggiore sarà, di conseguenza, l’importo dell’assegno. L’erogazione dell’assegno sarà, inoltre, subordinata alla stipula, da parte del beneficiario, del “Patto di servizio”, primo passaggio per l’attivazione del percorso di reinserimento.



In questo quadro la Regione Toscana “anticipa” il Governo lanciando una sua sperimentazione dell’assegno di ricollocazione. Con questo strumento la Giunta Rossi si propone di mettere insieme una “tradizionale” misura formativa con quella di accompagnamento al lavoro per i soggetti che, ahimè, hanno perso lavoro.

Nel dettaglio l’assegno di ricollocazione “made in Tuscany” si comporrà di due elementi: un voucher formativo di ricollocazione e un assegno per l’assistenza alla ricollocazione. L’azione sinergica dei due strumenti a dovrebbe, infatti, porsi l’obiettivo di incidere in maniera mirata sulla condizione occupazionale dei giovani, ma non solo, e su tutte le fasce di popolazione più duramente colpite dagli effetti della grande crisi economica di questi anni.



L’iniziativa si propone, inoltre, di mettere a sistema l’esperienza e il ruolo degli operatori della Formazione professionale, dei Centri per l’impiego e dei vari soggetti privati accreditati per lo svolgimento dei servizi per il lavoro. La scelta, infatti, se farsi assistere dal Cpi o da un soggetto accreditato è riservata, come peraltro prevede anche il Jobs Act, al disoccupato titolare del voucher di ricollocazione, che la dovrà esplicitare nella domanda di assegno.

Da una prima lettura delle scelte, prima di tutto di impegno finanziario, regionali emerge, tuttavia, un dato: una prevalenza significativa dell’aspetto, potremmo dire più tradizionale, formativo rispetto a quello di inserimento lavorativo che fa trasparire, in controluce, una certa, ancora non sopita, diffidenza di una parte della classe dirigente della sinistra italiana verso i privati, almeno quando si parla di servizi al lavoro. La scelta del Jobs Act sembra, tuttavia, andare in un’altra direzione di apertura verso i privati sebbene in un’ottica di sana competizione con la rete pubblica degli operatori.

In attesa del Piano nazionale sono, in ogni caso, utili questi percorsi sperimentali perché ci daranno sicuramente alcune prime indicazioni su quali scelte compiere o, al contrario, non fare. Solo il tempo (e una seria attività di monitoraggio e valutazione) ci dirà poi, senza nessun pregiudizio di natura ideologica, chi, e come, è più efficace nel ricollocare nel mercato del lavoro chi vi è uscito. La certezza, tuttavia, è che tutti gli operatori lavoreranno, ognuno con i propri strumenti, per “rottamare” quella disoccupazione che ancora colpisce duramente il nostro Paese.

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