In pensione in anticipo, col prestito bancario da rimborsare in tante comode rate? Può darsi, Renzi l’ha promesso, ma nel frattempo, sul tema piovono grane. Piovono dall’Eur, sede dell’Inps, dove ogni settimana il presidente Tito Boeri, che è – va rimarcato – uno degli economisti italiani più stimati in Europa per la sua competenza in finanza pubblica, recapita a Palazzo Chigi un pacchettino di fosche previsioni e brutte cifre sul settore: come quella ultima sulla probabilità che i nati dell’Ottanta vadano in pensione a 75 anni, che ha generato “un certo nervosismo” (eufemismo d’agenzia) nel governo. Ma le grane piovono soprattutto da tre tribunali e due Corti dei conti regionali.



Già, tribunali e Corti che hanno chiesto alla Consulta di bocciare il compromesso con cui è stata regolata la rivalutazione delle pensioni di importo uguale o superiore a 1.450 euro lordi al mese (circa il 36% dei pensionati italiani) bloccata nel 2012 dal Decreto Salva-Italia del governo Monti. Quel compromesso è il cuore del decreto 65 del 2015 col quale il governo Renzi applicò la sentenza 70 della Corte Costituzionale che aveva bocciato quella norma del Salva-Italia.



Cosa fece Renzi? Da una parte si ritrovava una sentenza inderogabile della Consulta; dall’altra, il rischio (anzi, la certezza) di far saltare i conti dello Stato se avesse semplicemente riportato la situazione al quadro precedente il SalvaItalia, con in più l’obbligo di pagare tre anni di arretrati. Di qui, l’escamotage, la furbata, in puro stile boccaccesco. Con il decreto 65 del 2015, il governo ha optato per un rimborso solo parziale della rivalutazione bloccata delle pensioni.

“Parziale? Una miseria”, afferma Silvia Malandrin, che coordina uno dei tanti ricorsi piovuti contro il decreto Renzi, in questo caso dell’organizzazione “Gestione crediti pubblici” con la consulenza legale dello Studio Legale Frisani. “Una miseria finita nel cedolino pensionistico dell’agosto 2015. Per un pensionato con una pensione lorda di 1500 euro, cioè 1100 netti, il cosiddetto bonus Poletti è stato di 650 euro circa, mentre in realtà avrebbe avuto diritto a 3000 di arretrati: il 22%. Con una pensione di 2500 euro lordi, 270 euro di bonus, contro i teorici 5000. Con una pensione lorda di 3000 euro, zero rimborso, contro i dovuti 5800 euro. Chiaro adesso?”.



Chiaro sì. Ma più chiaro vogliono che lo renda la Corte Costituzionale, alla quale si sono rivolti ben tre tribunali: l’ultimo è stato Milano, ma prima Bari e Brescia, la Corte dei Conti per l’Emilia Romagna e la Corte dei Conti per le Marche. E oltre 6000 privati, coordinati da varie organizzazioni come quella della Malandrin. “Per quanto ci riguarda, abbiamo presentato ricorsi collettivi su due criteri”, spiega la Malandrin: “I dipendenti pubblici si presentano alla Corte dei Conti della Regione di residenza, gli altri al giudice del lavoro del Tribunale competente. Questi ricorsi interrompono la prescrizione (di recente abbreviata a 5 anni) che inizierà a maturare dal 31 dicembre 2016”. 

I pensionati toccati dal Salva-Italia e dalla sua parzialissima riparazione sono sei milioni. Se la Consulta gli darà ragione, per il governo sarà emergenza finanziaria, perché stavolta sarà pacifico, al di là di ogni sostenibile espediente, che le loro pensioni andranno ricostituite secondo i parametri precedenti al decreto Renzi, cioè secondo i famosi diritti acquisiti, che mai come in questo caso sono stati spappolati.

Quella dei pensionati sarebbe una vittoria piena, ma per l’insieme dei contribuenti sarebbe una vittoria di Pirro, perché in qualche modo sarebbero tutti chiamati a pagare l’esborso incrementale di soldi pubblici. Questo ragionamento non basta, però, a dare ragione all’occasionalismo del governo. È chiaro ormai che la riforma Fornero ha attutito, ma non risolto, il problema dello squilibrio dei conti pensionistici nazionali, acuito peraltro dalla stagnazione durata più del previsto e dalla lentezza della ripresa. Resta, però, un grave problema di trasparenza nella gestione degli interventi di risanamento, che sembrano troppo spesso progettati per massimizzare il ritorno di consenso a breve termine e gratificare le categorie sociali elettoralmente più incisive, senza guardare né alla sostanza dei fatti, né all’equità inderogabile anche a favore degli anziani…