E così ci siamo! Se ci si attiene alla promessa di non ritualità data dal duo Nannicini-Poletti nella riapertura di un dialogo vero, costruttivo, anche se non necessariamente concertativo, non si può che sperare che l’irritualità sia sostanziale e creativa. Certo, sempre entro certi limiti, visto che per i rivenienti dalla Bocconi queste caratteristiche sono intese da loro come genetiche… Basta guardare a Boeri che è nato con genoma del ministro del Lavoro o del Primo ministro (meglio definito come Presidente del consiglio dei ministri), ma che per una forzosa manipolazione genetica degli eventi si è ritrovato a fare il professore di economia del lavoro e poi il Presidente… dell’Inps, però.
Così la ripresa dei lavori con il sindacato sarà su Previdenza, Lavoro e Dintorni il 14 giugno. Per chi ama Mozart (e Boeri) ci sarà il Convitato “quasi” di Pietra del Don Giovanni. Parlerà in ogni occasione lui offerta e continuerà a farlo anche se non offerta, con la sola differenza che il vero Convitato parla solo alla fine dell’opera e ne determina la conclusione. È questo il vero dilemma del Presidente dell’Inps: non riuscire a determinare la conclusione del processo di riforma delle pensioni e firmarne la paternità come la Fornero, con il probabile esito di molti guasti in cambio di una firma. Le motivazioni di una simile affermazione le ho già espresse e approfondite in articoli precedenti e molte sono state condivise dai più autorevoli opinion makers, economisti o meno.
Ho il sospetto, e con questo intendo archiviare Boeri sullo sfondo dell’inizio dei lavori del 14 giugno, che pur con tanta scienza e con tanta loquacità egli non abbia compreso che la sua angoscia subliminale, motore dei suoi interventi, non viene solo dal timore che non possa apporre la sua firma alla mutazione della Fornero, ma viene anche dal suo sforzo di sopprimere il suo “natural duty”, l’unico per il quale gli possa essere chiesto di mettere la mano sulla “walking of fame” (la facciamo sui marciapiedi dei Fori Imperiali?). Questo “natural duty” è progettare, implementare, realizzare la riforma dell’Inps. Boeri non ama l’Inps, ritenuto da lui meramente strumentale per permettergli di realizzare ciò cui aspira, in questo bloccato dall’imponente mole del Giuliano, di cognome Poletti. Così simile a un cartoon della Disney, l’accesso alla foresta di Sherwood che gli armigeri di Re Giovanni (un po’ simili ai giovani turchi) de La Voce (infatti…) volevano conquistare è stato difeso da Poletti a mo’ di Frate Tuck.
Quanto sia importante, prioritaria e necessaria la riforma dell’Inps lo dicono le cifre che sono state spiegate in un altro degli articoli precedenti e che si possono così riassumere. A differenza di quello che viene configurato e conformato a livello di fonti di contabilità nazionale, sulle quali, a partire dall’Ocse, vengono elaborate pregiate analisi verosimilmente corrette, ma contenutisticamente fuorvianti, e per questo utili al dibattito, al richiamo e alle citazioni politiche, una conclusione si può trarre in modo ragionevole.
Con lo sgombrare il campo dal nominalismo errato che porta a errate attribuzioni sostanziali, il risultato è che la gestione previdenziale pura è in equilibrio, e solo quella assistenziale e quella paramorfologicamente assunta come previdenziale servono a disequilibrarla. È chiaro che se uno Stato non procede a una proposta di revisione della contabilità col suggerire proposte nel quadro delle appartenenze e posizioni internazionali perde una parte della sua effettiva capacità di manovra. Questo disequilibrio di sommatoria algebrica di prestazioni comunemente intese in termini economici ha una valenza che manifesta la sua potenza in presenza del sistema contributivo, erga omnes a partire dal 2011. Cosi da squilibrata la gestione Inps diventa disastrata e il suo deficit di 52 miliardi di euro in termini di ripianamento diventa campo di confusione ben utilizzata e utile a chi vuole determinare una redistribuzione di carichi fiscali. Se la gestione previdenziale pensionistica pura è in equilibrio, giocoforza l’assistenza deve alimentarsi con la fiscalità generale. E la fiscalità generale deve dare risposte adeguate in linea con la determinazione delle politiche espresse da un governo rappresentativo delle forze che lo hanno voluto.
La conferma di tale proposizione è che non vi può essere risoluzione del problema se c’è un Presidente, per giunta intellettualmente dotato e ben presentato, che rispetto alla necessità e urgenza richiesta, prima citata, aspira ad altro. In questo, si può notare quanto e come egli rivendichi la libertà di farlo, al pari della libertà di modulare il suo “call institutional duty” a suo uso e consumo. E questo comportamento di sviamento dalle priorità si rafforza in presenza di un laissez faire da parte dell’esecutivo almeno fino a un limite politicamente insuperabile che necessariamente deve essere posto. Le sirene crepuscolari dell’ex gruppettaro che in gioventù ha fatta sua l’élite dell’avanguardia del proletariato, nella maturità si sono trasformate nei comportamenti che si conoscono. Se si leggono le dichiarazioni rilasciate al RepIdee, per quanto ovvie possano essere, risulta grande il divario tra questa ovvietà e i giri di valzer spesso compiuti cambiando posizione e idea, cosi come si evince la scarsa capacità di lavorare di concerto con chi è sul campo come il ministro del Lavoro. Poletti muove quotidianamente i suoi passi per conquistare terreno all’occupazione sottraendolo a condizioni negative arrivate al punto critico di strutturarsi come permanenti. E in questo la visione istituzionale abbraccia le problematiche del ciclo del lavoro inclusive degli aspetti previdenziali e assistenziali.
Ecco le ultime posizioni di Boeri al RepIdee (che tratta di Idee per i prossimi 40 anni), a elaborare le quali è a dire che “il sostegno ai disoccupati, soprattutto over 55 e giovani, e la mancanza di un concreto piano contro la povertà sono i tasti dolenti del welfare italiano. Si parla di pensioni minime troppo basse, ma prima di dirlo bisogna considerare il reddito complessivo lordo e da quando vengono percepite”, dice Boeri, che per spiegare meglio la situazione fa notare che negli anni della crisi il numero di persone povere è aumentato nella fascia d’età 55-65 anni e tra i giovani, mentre è rimasto stabile tra gli over 65.
“Il vero dramma è quello degli esodati (ma guarda un po’ che scoperta dopo tre anni senza proferir verbo costruttivo prima, ndr), che non possono contare su uno zoccolo duro di protezione dalla perdita del lavoro. Per far fronte a questo problema avevamo proposto al governo l’introduzione nel disegno di legge delega per il contrasto alla povertà di un reddito minimo per le famiglie con un 55enne che ha perso il lavoro. Sembrava di essere sulla strada buona, ma dall’inizio dell’anno a oggi è ancora tutto fermo, per cui sto diventando scettico che il progetto venga realizzato”.
E poi: “I giovani hanno avuto problemi nel 2011 quando la legge Fornero ha imposto alle imprese il blocco all’uscita: da uno studio che abbiamo fatto nelle aziende con il blocco delle uscite dei lavoratori non si sono assunti giovani, al contrario di quelle in cui invece i blocchi non ci sono stati”. Eppure alla pari della Fornero settimane fa dichiarava che la flessibilità e l’anticipazione dell’uscita dal lavoro poco toccava i giovani perché non vi erano evidenze statistiche di correlazione e automatismi. Anche questo trattato in modo più adeguato da me e da Anedda su queste pagine.
Paradossalmente se Poletti è stato ingenerosamente giudicato un “palo”, la sua fermezza (avete mai visto un palo muoversi?) è stata di tutt’altra natura poiché ha significato mettere dei punti fermi da cui ripartire. Così è stato con l’Anpal e quanto a esso relato che dovrà essere sviluppato, così è per il lavoro strutturato al varo di un prossimo Social Act, così è pure per la capacità innovativa che il ministro ha dimostrato a proposito dell’introduzione di una diversa formulazione e modulazione del computo delle anzianità contributive legate alla laurea e al suo riscatto per anticipare la pensione e da inserire, ma di cui ancora non è stata data cognizione, in Ape.
Questa formulazione, volenti o nolenti, coscienti o meno, attesta un’oggettività: si può, nel contesto contributivo operare per il raggiungimento dell’obiettivo lungo l’asse del tempo. La proposta di Poletti pone l’intervento legandolo a una condizione che va messa all’inizio della linea del tempo: uscita dall’università ed entrata nel mondo del lavoro. Il computo di quegli anni che qualcuno voleva cancellare da quello totale per aumentare il totale contributivo con gli anni necessari per la pensione (e all’epoca si intervenne su Alfano), ora con la proposta Poletti si sposta lungo l’asse del tempo. Il risultato è che si ottengono effetti positivi ex post di un evento ex ante. Ma se si prosegue lungo l’asse del tempo avvicinandosi alla sua fine (uscita dal mondo del lavoro) ecco che lo stesso meccanismo, attribuito a uno scopo e a un evento diverso (la flessibilità in uscita e la pensione anticipata), si rimodula solo in termini unidirezionali.
Questo è uno dei pilastri semplici di “Riformare la Riforma“ dove il principio del riscatto degli anni mancanti alla soglia di vecchiaia a 66/67 anni o in alternativa ai soli 42/43 anni di contributi slegati dall’età. Aggiungervi una soglia base, obbligatoria anagraficamente, è, nell’approccio minimalista che si vorrebbe adottare, superfluo perché già esistente e già coperta per il triennio 1951/53. Il solo tassello/pilastro veramente mancante è la generalizzazione della contribuzione volontaria. E questo non esserci, nel sistema contributivo implementato, è un “no sense”. Con questi due principi si declina tutto il resto senza passare per le tortuosità dell’Ape e per le sopracitate alchimie di Boeri.
L’Italia, spesso a dispetto della chiarezza con cui nel bene e nel male Renzi, come premier, affronta di petto i problemi, coltiva sia la fiaba del “think tank” elitario di qualsivoglia colore ed estrazione composto da maghi risolutori, sia il sospetto di chi vuol far valere altro potere rispetto a quello dei cervelli. Così (a partire dai salotti accademici come il Cerp della Fornero o La Voce di Boeri e Nannicini per arrivare agli equilibrismi tra prese d’atto nelle audizioni e proposte attive, nelle Commissioni parlamentari) si crea un acceso confronto con il sostegno di ampie e forti disseminazioni mediatiche per arrivare a risultati che favoriscono più soluzioni a macchie di leopardo con relative complicanze che non un’effettiva svolta, pur nel rispetto dell’assioma che la portata principale della legge Fornero non si tocca, checché ne dicano Grillo, Salvini e Berlusconi, al quale vanno auguri di pronta guarigione e ristabilimento.
L’Ape forse volerà più come un calabrone (di cui si conosce la controdeduzione aerodinamica) che come un’ape. Di fatto utilizzare il prestito è una soluzione intelligente perché, con una gestione di attribuzione puramente contabile, esonera l’Inps dalla titolarità dei flussi previdenziali anticipati, in primo luogo, e tende a far risparmiare lo Stato su dotazioni e conferimenti ad hoc, in secundis. Infatti, tenendo conto delle caratteristiche contabili internazionali non crea flussi critici di fenomeni che già guardati con sospetto urterebbero Ocse, Unione europea, Fondo monetario internazionale. E per questo potrebbe volare. Idea questa che non poteva avere altra “origination”… se non accademico consulenziale (a volte Bocconi e Mc Kinsey si equivalgono).
Per il resto Ape è una soluzione tortuosa, intricata e allo stato di conoscibilità attuale forse cara, o forse no. Cara o meno cara o nulla per categorie di beneficiari, non si sa se questa clusterizzazione di costo per beneficiari richiedenti creerà disparità tali da accendere gli animi verso un ricorso di non costituzionalità. In fondo i pensionati, prima mossa di Boeri, devono avere un conto per riscuotere la pensione. Quelli che vanno in pensione anticipata lo dovranno avere per l’accredito del prestito. Quindi la soluzione che andrà a prendere corpo è più da “cash flow” e “chart flow” condita da elementi di equanimità che da riforma di criticità su cui innestare processi di integrativi di “bundling”. Altra considerazione è come garantire la restituzione del credito e quali addendum da equilibrare con questa in presenza di piani di ammortamento diversi secondo il reddito (Isee?) dei richiedenti. Resta poi ancora da chiarire il problema sollevato da Giuliano Cazzola sulla cosiddetta doppia penalizzazione. Insomma, che fatica.
Ci si augura che non accada che l’Ape di Nannicini, definita scherzosamente su Twitter non riformosa, tortuosa e costosa, anziché permettere il raggiungimento del traguardo desiderato dagli interessati, di fatto non lo allontani. Va invece seriamente considerata altra condizione visto che – con il buon senso – Poletti quel traguardo lo fa avvicinare in modo semplice. Ci si augura inoltre che l’allineata similarità di battute sulla Riforma Dini, fatta si a distanza, ma quasi in contemporanea, non indichi che il vero scopo è una convergenza di Nannicini e Boeri che provengono dalla stessa tolda di nave nell’orientare il sistema pensionistico italiano su una navigazione inopportuna. Resta il fatto che con “Riformare la Riforma” fa piacere di aver contribuito ad avviare un percorso per realizzare un traguardo importante per il mondo del lavoro in Italia.