Non sarà epocale come la Brexit, non sarà decisivo per le sorti del Medio Oriente come il prossimo incontro-scontro tra i Paesi arabi sunniti e sciiti, ma anche in Italia si sta consumando una piccola rivoluzione: anche noi possiamo dire di assistere a un cambiamento nella vita politica della nostra Repubblica.
Non sarà Brexit, dicevamo, ma almeno possiamo accennare a una Renxit, un’uscita di Matteo Renzi dalle posizioni fermamente antisindacali che aveva assunto nella prima parte del suo mandato. E se anche non si tratta di cambiamento vero e proprio, almeno non sarà sbagliato parlare di una sua innovazione rispetto al percorso fin qui seguito. Un percorso, giova ricordarlo, fatto fin qui di chiusure, di slides mostrate agli esterrefatti sindacalisti, di attacchi, anche mediatici dov’era difficile attribuire la responsabilità agli uni piuttosto che agli altri, mentre era facile capire che il tutto stava portando il Governo a isolarsi rispetto al contesto sociale, e i sindacati a interrogarsi sulla loro natura e il loro destino. Insomma, tanto tuonò che alla fine non piovve, potremmo dire parafrasando il proverbio.
Queste sono, in effetti, ore di movimento, ore certo rese frenetiche dal referendum inglese, ma nelle quali brillano anche le innovazioni nostrane, innovazioni che affondano le radici nei discorsi fatti mesi fa, in lunghe e complesse trattative, in caminetti informali, ma che sono serviti a limare le reciproche diffidenze tra Cgil, Cisl e Uil e il Governo del Matteo nazionale. Guardando da fuori possiamo dire che ha vinto la linea sindacale: non la linea del sindacato, ma proprio la linea sindacale, quella corrente di pensiero e di azione che fa capo soprattutto alla Cisl e che si incarna nella coppia Annamaria Furlan-Gigi Petteni, che non a caso è la protagonista al tavolo delle trattative.
Quanto sta succedendo, gli incontri che non finiscono in polemiche, il confronto sui dati, sui contenuti dei provvedimenti, l’analisi dell’andamento dell’economia e le aperture sulle pensioni, sono, infatti, anzitutto il frutto di un lavorio che era destinato, fin dall’inizio, a riposizionare il sindacato rispetto al tradizionale e classico rivendicazionismo, oppure rispetto al più recente ma decisamente indigesto a Renzi, concertazionismo.
Con un pragmatismo non banale, il sindacato di via Po ha virato la prua verso il contesto che più gli si addice, ma che è anche del tutto nuovo rispetto a quello tradizionale: un contesto fatto di dichiarazioni meno politiche e invece di documenti e prese di posizioni più sindacali. Grazie a una lenta azione di pressione sulla controparte e di convincimento di Cgil e Uil, il sindacato ha così abbandonato la sua anima politica per concentrare azioni e rivendicazioni sul suo ruolo contrattuale. Un tale riposizionamento a sua volta ha attirato un governo che andava registrando sempre maggiori difficoltà nel cammino su cui procedeva da solo, nel campo dei temi più direttamente sindacali, come quelli del lavoro e delle pensioni.
Lo scontro ha lasciato il posto per sempre al confronto? In politica il per sempre non esiste, ma certo quella che si apre sembra una stagione destinata a essere caratterizzata più dalle parole che dalle slides, più dall’analisi tecnica che non dagli slogan e dai sondaggi usati come clave ferrate. Ha vinto il sindacato allora? Per certi versi sì, perché ora le slides servono per discutere non per comunicare, ma è chiaro che il governo ha ottenuto quel che voleva, il definitivo seppellimento della stagione della concertazione, delle decisioni prese a più mani (o mai prese per il potere di veto che derivava proprio dal metodo stesso): l’interlocuzione a tutto campo sindacale non comporta, alla fine, che le scelte maturino insieme, ma che il Governo faccia le sue valutazioni, si assuma in ultima analisi la responsabilità della decisioni e ciò sia pur solo dopo il confronto con le controparti sociali.
Cgil Cisl e Uil, quindi, stanno decisamente spostando il baricentro della loro azione verso il polo contrattualistico più che non sul versante politico. I prossimi mesi ci diranno quanto la svolta sia epocale, e se dopo la Brexit e la Renxit, assisteremo anche alla Cgilexit: di certo il filone contrattualistico è quello sul quale punta da sempre la Cisl, ma se la conversione dell’associazione guidata da Susanna Camusso dovesse trovare una conferma, allora è chiaro che si potrebbero riaprire anche dossier decisamente più corposi, come quelli sulle forme di compartecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese.
Tutto dipenderà dai risultati che le attuali trattative sapranno portare, dai benefici che ne deriveranno per i lavoratori e le loro famiglie, benefici che potrebbero anche risistemare i rispettivi indici di gradimento, tanto del premier come dei sindacati.
L’impostazione dell’agenda dei lavori su temi prettamente sindacali, infine, oltre ad avere aperto un vero confronto col governo anche su temi delicati come quello delle pensioni, ha anche consentito ai tre sindacati di inaugurare una nuova stagione con le controparti imprenditoriali: se ciò si tradurrà nel rinnovo di contratti fermi da troppi anni sarà poi il futuro a dirlo, ma certo c’è in atto qualcosa, circola nei palazzi del potere italiani un’aria di cambiamento che potrebbe perfino portare del buono alla nostra travagliata economia.