Tra Ape, Rita, penalizzazioni e prestito bancario, sulla riforma delle pensioni regna sovrana la confusione. O forse il più semplice dei progetti. Pensiamoci bene, su una questione così elettoralmente sensibile come quella delle pensioni è difficile che il Governo non abbia una strategia. Tanto più che è passato oltre un anno da quando Renzi ha parlato della volontà del suo esecutivo di permettere alle nonne di passare più tempo coi propri nipoti anziché continuare a lavorare: possibile che da allora non si sia fatto uno straccio di proposta, anche solo partendo da quelle che giacciono da tempo in Parlamento? Difficile pensarlo considerando i tempi che il Governo ha usato per cambiare Costituzione, sistema elettorale e riformare le banche popolari: sono questi forse temi meno complessi delle pensioni degli italiani? Il punto è che si avvicina un voto importante: non quello per i consigli comunali, ma quello referendario di ottobre. Non a caso l’intervento del Governo sulla flessibilità previdenziale è previsto nella Legge di stabilità, da approvare a fine anno. E Renzi deve essersi reso conto che l’Italia più che una nazione di giovani desiderosi di cambiare la Costituzione è un Paese di vecchi che vogliono la pensione. E c’è da capirli dato che hanno ben in mente quanto successo nel 2011 e vogliono “assicurarsi” dal rischio di una nuova legge “Salva-Italia” (anche perché difficilmente Poletti si metterebbe a piangere come un suo illustre predecessore).



Dunque meglio tenersi buoni i “vecchietti” d’Italia, prima che per ripicca decidano di “boicottare” il referendum costituzionale. Meglio tenersi buoni anche i sindacati ed evitare che scendano in piazza: da qui la grande “retromarcia” e la strana volontà di trovare delle soluzioni condivise con le Parti sociali, bellamente ignorate in precedenza, nonostante da dicembre 2015 sul tavolo del Governo vi fosse una piattaforma sindacale unitaria sulle pensioni. 



Ma qual è dunque concretamente il piano del Governo sulla riforma delle pensioni? Quanti anni di anticipo consentirebbe? A quali condizioni? Con quali penalizzazioni? Il punto è che probabilmente nemmeno l’esecutivo lo sa realmente con certezza: dovrà vedere quanti soldi ci saranno in cassa, solo dopo svelerà le sue carte. E non sembrano esserci grandi risorse, dal momento che già ha dovuto varare la vendita di una nuova quota di Poste Italiane per accontentare Fmi e Ue preoccupate dall’alto debito pubblico del Paese. Senza dimenticare che Renzi e i suoi ministri parlano anche di tagliare Irpef, Ires, cuneo fiscale, nonché disinnescare le famigerate clausole di salvaguardia per evitare che aumentino Iva e accise. 



E se poi ci fosse la Brexit, davvero come ha detto l’altro giorno l’Ocse l’Italia rischia di dover mettere in atto nuova austerità? Chi può dirlo: del resto quello è un referendum che a palazzo Chigi interessa fino a un certo punto.