Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato il tanto atteso Decreto legislativo che si propone di contrastare la falsa attestazione della presenza in servizio posta in essere dai lavoratori del settore pubblico (i cosiddetti furbetti del cartellino). A partire dal 13 luglio 2016, il dipendente pubblico che verrà colto in flagrante (anche attraverso la rilevazione mediante strumenti di registrazione e/o sorveglianza) a far risultare fraudolentemente la propria presenza in servizio e/o trarre in inganno l’amministrazione pubblica circa il rispetto dell’orario di lavoro, potrà, entro 48 ore, essere sospeso cautelarmente dal servizio e dalla retribuzione. Della violazione risponderà anche chi eventualmente abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.
Tuttavia, l’utilità di avere finalmente introdotto delle norme che puniscono gli assenteisti rischia di essere vanificata dalla disposizione, prevista dallo stesso Decreto, secondo la quale durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione verrà garantita l’erogazione di un assegno alimentare la cui misura sarà stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali applicabili al rapporto. È evidente come tale previsione possa essere considerata ampiamente contraddittoria rispetto al processo di privatizzazione del settore pubblico, poiché introduce l’ennesima agevolazione ad hoc per i dipendenti pubblici che, peraltro, finisce per limitare, se non addirittura vanificare, la ratio stessa della sospensione cautelare.
Dal punto di vista procedurale, un’ulteriore novità è rappresentata dal fatto che il provvedimento sospensivo dovrà partire d’ufficio, mentre finora era rimasto facoltativo. A fronte della contestazione per iscritto dell’addebito, il lavoratore che si sia assentato ingiustificatamente dal posto di lavoro dopo aver timbrato il cartellino o dopo aver ingannato l’amministrazione in merito al rispetto dell’orario di lavoro, dovrà essere convocato presso l’ufficio competente con un preavviso di almeno 15 giorni e potrà farsi assistere da un rappresentante sindacale o da un procuratore. In tale sede verranno posti in essere tutti gli adempimenti necessari a garantire il rispetto del contraddittorio.
Uno degli aspetti maggiormente positivi della nuova normativa riguarda le tempistiche previste per la conclusione del procedimento disciplinare: 30 giorni in luogo dei 120 previsti in precedenza. Al fine di censurare eventuali inerzie o complicità del dirigente o del responsabile del servizio, è stata altresì introdotta la responsabilità per omessa attivazione del processo disciplinare e/o omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare nei casi in cui gli stessi abbiano avuto conoscenze dell’illecito e non si siano attivati senza giustificato motivo.
Per concludere, le nuove disposizioni rappresentano un intervento apprezzabile negli intenti, in quanto atto a tutelare la Pubblica amministrazione di fronte ad atti illeciti sempre più diffusi, ma poteva essere fatto di più e poteva essere fatto meglio. Di conseguenza, sarebbe auspicabile che, nonostante i proclami mediatici del governo, il pubblico impiego si allineasse concretamente a quello privato, limitando distinzioni ingiustificate tra lavoratori pubblici e privati che si pongono nettamente in contrasto con il percorso di privatizzazione della macchina amministrativa.