Confindustria e Cgil-Cisl-Uil hanno comunicato venerdì in modo congiunto di aver firmato un accordo per facilitare le imprese prive di rappresentanze sindacali nell’erogazione di premi di risultato collegati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. Sarà quindi molto più agile, specie per le aziende di minori dimensioni, la possibilità di introdurre retribuzioni collegate ai risultati aziendali e usufruire così dei benefici fiscali e contributivi previsti dalla Legge di stabilità 2016 per questo tipo di erogazioni.



Al di là della novità, nella comunicazione congiunta si trovano due elementi interessanti: in primis, “l’accordo affida alle parti sociali del territorio un ruolo propulsivo per guidare le imprese di minori dimensioni verso l’introduzione di forme di salario variabile legate ai risultati aziendali”. In secondo luogo, l’accordo “costituisce la conferma dell’opportunità della progressiva valorizzazione della contrattazione di secondo livello, anche sotto il profilo dello sviluppo della cultura del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”.



Tutto va, quindi, nella direzione che Confindustria – ma sul fronte sindacale la Cisl è sempre stata favorevole a rafforzare il secondo livello – afferma da tempo: la ricchezza si distribuisce laddove prodotta. La sorpresa è, semmai, apprendere che gli Industriali aprono in modo così deciso alla contrattazione territoriale – qualcuno di loro ha più volte detto “la contrattazione territoriale non esiste, per noi o è nazionale o è aziendale” – e che la Cgil, che dopo la firma degli accordi 2011 e 2013 ha attaccato il governo Monti per gli incentivi al salario di produttività, oggi ha maturato questa posizione chiara di valorizzazione del secondo livello; è chiaro, infatti, che la contrattazione di secondo livello viene valorizzata anche in virtù del defalco fiscale.



Quello di venerdì è quindi un passaggio importante: considerando come si è mosso il governo dalla stabilità 2016 a oggi, potremmo definirlo sistemico, anche in vista dell’accordo generale su cui Confindustria, Cgil Cisl Uil stanno lavorando. È chiaro che, a questo, punto non vi sono dubbi che l’accordo in questione andrà nella direzione di meglio definire il rapporto tra primo e secondo livello, ma soprattutto di intensificare e accrescere il ruolo della contrattazione aziendale e territoriale.

Due riflessioni finali: in primis, la crescita del secondo livello può portare nuova linfa al mondo della rappresentanza, tuttavia non va soltanto incentivata ma soprattutto sostenuta, ovvero è opportuno che si trovi il modo di rendere pronti gli attori (imprese e rappresentanze sindacali aziendali piuttosto che unitarie) rispetto al cambio di passo, perché pronti non sono visto anche che solo il 20% delle imprese in Italia contratta direttamente; in secondo luogo, è chiaro che il cerchio inizia a chiudersi: il governo ha fatto la sua parte e, ora, le rappresentanze stanno facendo e faranno la loro, cosa che porterà a un accordo generale che ridefinirà i livelli retributivi passando attraverso la contrattazione di secondo livello (aumenti da Ccnl non se ne prevedono).

Se – come già scritto – ciò dovesse avvenire prima della tornata referendaria (ed è molto probabile che così sarà), Renzi potrà dire “ho cresciuto i salari”. E non c’è dubbio che questo sarà un bell’argomento per il Sì alla riforma; come non c’è dubbio che, a quel punto, avrà avuto il sostegno anche dal sindacato, al di là della Cisl – che già per il Sì si è espressa – e di Confindustria.

 

Twitter @sabella_thinkin

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