Qualche giorno fa, i principali marchi della nautica italiana hanno comunicato la loro dipartita da Confindustria. “Una decisione – si è letto in una nota – motivata dalla prolungata mancanza di attenzione al comparto nautico da parte della confederazione”. Il gruppo che esce – Apreamare, Azimut|Benetti, Baglietto, Cantiere delle Marche, Cantieri di Sarnico, Colombo, Gruppo Ferretti, Maltese, Mase Generators, Mondomarine e cantieri di Pisa, Opem Sistemi, Perini, Picchiotti, Tecnopool, Viareggio Superyacht, Vismara Marine – rappresenta l’eccellenza del settore e la scelta di uscire dall’Associazione degli Industriali è motivata “dalla ormai prolungata mancanza di attenzione, servizi e dedizione strategica al comparto nautico da parte di questa Confindustria, che si limita a svolgere una attività di supporto sindacale per le aziende a fronte di cospicui contributi. Tale disattenzione si è addirittura manifestata per la mancata implementazione di una federazione di scopo, più volte annunciata, che avrebbe dovuto raccogliere tutti gli operatori del settore”.
Queste 67 aziende impiegano nel loro complesso 4.500 dipendenti diretti, 15.000 operatori dell’indotto, esprimono un valore della produzione di 1.500 milioni di euro e rappresentano l’80% della produzione italiana di imbarcazioni e il 95% del valore delle esportazioni nel settore.
È chiaro che per Vincenzo Boccia non è una bella notizia. Non si tratta evidentemente di un fulmine a ciel sereno, ma l’uscita di aziende di questo prestigio non fa naturalmente bene all’immagine dell’Associazione e apre qualche interrogativo sul suo futuro. Già Mauro Moretti tempo fa – come abbiamo scritto su queste pagine – ha affermato quanto le imprese abbiano bisogno di meno burocrazia e, a questo livello, i costi siano oggi insostenibili. Prima di Moretti, ricordiamo il ciclone Marchionne.
Boccia ha espresso – da quando è Presidente – una posizione molto chiara, in particolare sul versante contratti e salari, posizione che pare aver creato un’interlocuzione produttiva con i sindacati, tant’è che è della scorsa settimana l’intesa sulla contrattazione territoriale con Cgil-Cisl-Uil. Certo, o questa sarà seguita da un accordo generale che lega in modo forte le retribuzioni alla produttività aziendale, oppure prenderemo atto che l’intesa sulla contrattazione territoriale è stato un modo per aggirare il problema vero.
Il punto, però, è che le imprese evidentemente oltre al contratto vogliono qualcos’altro dalla loro rappresentanza il cui orizzonte, sul fronte datoriale, è molto più nebuloso che sul versante sindacale.
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