Se è vero che non ci sono più le mezze stagioni, può darsi che questo sia il momento della svolta, quello che ci dirà che le stagioni piene, le belle stagioni, sono davanti a noi. Insomma: può darsi che sia tornata la primavera. Il primo incontro tra rappresentanze imprenditoriali e sindacati sembra davvero aver dato la stura a un nuovo percorso, una storia diversa. Certo, non siamo ancora alle conclusioni alla fine di una strada, né si parla di firmare accordi, documenti, intese o che altro. Ma, come ha detto una delle protagoniste, la segretaria della Cisl Annamaria Furlan, “l’incontro è stato assolutamente positivo, sono stati condivisi temi importanti” su cui, però, si è affrettata a aggiungere, si deve lavorare.
Il primo incontro tra il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, e Cgil, Cisl e Uil, insomma, è servito a rivelare al mondo che c’è “un’agenda dei temi da affrontare: dalle nuove relazioni industriali alle politiche del lavoro, dal welfare alla bilateralità”. Tutta roba di poco conto, verrebbe da aggiungere, con un pizzico di sarcasmo, ma in ogni caso è “l’inizio di un percorso – ha aggiunto la leader della Cisl – che darà i suoi frutti se saremo tutti in grado di mettere al centro la crescita e il lavoro con uno spirito costruttivo”.
Certo la Cgil frena, smussa i toni, calma gli animi dei più ansiosi di trovare la via d’uscita a una situazione che tutti giudicano problematica. Tra l’affrontare i temi e definire l’agenda e il semplice “scambio di opinioni rispetto a come comporre un’agenda comune che parte dai temi delle politiche attive e passive, anche delle questioni di cui stiamo discutendo con il Governo” della leader della Cgil, c’è un abisso, ma è in questo abisso che si nasconde il nostro futuro.
Questa è la stagione della contrattualità: dalla concertazione alla contrattualità, dal concordare confondendo ruoli e posizioni, è il momento del confronto tra le parti e dell’accordo. Non è un caso che il tema della contrattazione sia stato richiamato dalla Segretaria generale della Cisl che ha tenuto a ricordare come sia “fondamentale per ridare dignità al lavoro pubblico”.
La contrattazione è la via maestra per uscire dal caos attuale, che è il momento della mancanza di un “centro di gravità permanente” che consenta alle parti di riconoscersi, per darsi un metodo, cioè per fare un passo determinante verso la riforma del nostro Paese. Welfare aziendale, contrattazione di secondo livello, riforma strutturale della Pubblica amministrazione, per ridare dignità al lavoro pubblico, significa toccare temi come la qualità di un sistema universitario che oggi solo a parole è di grande qualità, ma che manca, nei fatti, di efficienza, che è troppo spesso slegata dalle esigenze del territorio e del mondo del lavoro.
Si è dunque aperta la stagione del contratto? Di certo si è aperta la stagione della discussione nella quale le controparti non sono impegnate a polemizzare su chi deve decidere, ma sembrano piuttosto concentrarsi sul tema delle cose da fare. Il salto di qualità è conseguente, in ambito sindacale e cislino in particolare, a un cambio di leadership e a un rapporto diverso con il governo, ovvero sarà l’inverso? Anche qui si tratta di domande oziose di un ozioso, per citare un celebre scrittore inglese. Ciò che conta è che se le promesse e le premesse troveranno conferma, i prossimi anni saranno gli anni del fare, del pragmatismo.
Bisogna dire che in questo l’esperienza lombarda ha fatto da apripista: nella regione più rappresentativa, più ricca e più industriale, per qualche anno il contratto è stato la chiave con cui si sono scardinate posizioni ideologiche. Che anche oggi Milano abbia aiutato l’Italia, non stupirebbe. Che invece oggi l’Italia ne prenda atto è vi si adegui sarebbe una piacevolissima sorpresa. Significherebbe porre un termine a tanti anni di sterile discussione sul nulla, o peggio su ciò che potrebbe essere e non è.
Il contratto, cioè l’accordo, l’intesa tra le parti, il reciproco fare un passo avanti, potrebbe essere la via per lasciarci alle spalle tanti anni di confusione e di stallo. Ecco perché aver tenuto ferma per tanti anni la contrattazione, sia nel pubblico che nel privato, ha bloccato la trasformazione del Paese. Bloccare i tavoli significa aver tenuto fermi i necessari cambiamenti e investimenti da realizzare in tutti i comparti, aver bloccato il ruolo centrale e la partecipazione dei lavoratori per migliorare la qualità dei servizi, l’innovazione e la produttività. Significa aver fatto del male al Paese, non solo a una fetta di italiani.
Se le parti sociali avranno saputo capire questo, allora davvero un incontro forse solo di cortesia potrebbe aver fatto da apripista. E potremo dire ai nostri nipoti di aver visto il passaggio dalla stagione dell’ideologia a quella della contrattualità.