L’estate è la stagione più bella per gli appassionati di calcio. Quella in cui ognuno può immaginare che la sua squadra, dalla Juventus al Cosenza, potrà vincere lo scudetto. È inoltre, cosa che ci sta ben più a cuore, la stagione dello shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate”. Infine, per passare dai massimi ai minimi sistemi, l’estate è anche la stagione buona per chi, più modestamente, si occupa di lavoro ed economia e desidera sognare, per chi pensa che nulla sia più vero del sogno (citazione di un brutto verso di Roberto Vecchioni). Ci proviamo anche noi, che pur siamo piuttosto dei realisti alla Sancho Panza (citazione questa invece da Francesco Guccini), a sognare e a immaginare una stagione delle riforme.



Non ci limiteremo però a vagheggiare un Governo che decida di lavorare sulla riforma delle pensioni o sulla riforma del Pubblico impiego, perché in fondo questo, con tempi biblici e proposte arcaiche o arcadiche a secondo dei punti di vista, sta già succedendo. No, proviamo a sognare un Governo che decida invece di riformare l’economia privata, l’industria manifatturiera.



Ecco, il primo problema che, nel sogno ovviamente, ci si porrebbe, sarebbe quello relativo alla composizione di un eventuale tavolo: certo Renzino nostro tende a far da solo. ma da quando i ribelli piddini l’hanno tirato nella palude si sta adattando anche a far finta di ascoltare gli altri. Dunque: chi siederebbe attorno al tavolo? Sindacati e Associazioni imprenditoriali, of course. Ma come lasciar fuori le banche? In fondo sono loro che hanno i soldi e l’Europa ci ha anche recentemente fatto il favore di far finta di credere che stiamo tutti bene. Allora, riassumendo, per adesso siamo a tre.



Beh, ma i trasporti pubblici, il sistema delle interconnessioni, gli scambi ferro-gomma, i passanti ferroviari e autostradali, da chi dipendono? Dal Governo certo, ma anche dalle Regioni e dai Comuni: senza il loro consenso, senza l’apporto fattivo di chi deve firmare il permesso di costruzione di una curva, di completamento di un viadotto, di allargamento di una provinciale, dove vogliamo andare? Non si riuscirà mai ad abbassare i costi di trasporto delle merci, a incidere su questa quota del prezzo dei beni. Allora siamo d’accordo: al tavolo vanno invitate anche le Regioni, le Provincie (ma queste solo fino al referendum, sospira nel nostro sogno il Premier) e i Comuni.

Basta così, sussurra sconsolato nel nostro subconscio, un Renzi stranamente pallido e intimorito. Eh no che non basta. Vogliamo lasciar fuori l’Anm? E che ci azzeccano le toghe e il sindacato dei giudici?, tuona la ben nota voce baritonale del recente consulente di Maroni in tema di Pedemontana, al secolo Antonio Di Pietro. Presto detto, ribatte l’ermellino che sta avvolto al collo dei supremi magistrati: se noi non diamo il nostro assenso alla riforma della giustizia civile, col cavolo che i debitori pagheranno e i creditori saranno soddisfatti in tempo per non fallire.

Non si può davvero dire che abbiano torto, considerato che oggi in Italia è difficile farsi pagare dallo Stato, ma riscuotere un credito da un privato sta diventando un’impresa per la quale servono qualità in possesso di poche persone e tutte ben fisicate. Anche se, a dire il vero, ci sarebbe una soluzione alternativa, ma con la quale si rischierebbe di finire nel mirino della magistratura antimafia…

Allora d’accordo, in fondo un giudice al tavolo non fa male a nessuno, sibila uno sconsolato Renzi. Sì, ma perché si è voluto escludere il coordinamento dei Rettori delle Università? Perché ancora una volta si escludono i rappresentanti delle Istituzioni cui è demandata la ricerca? In fondo, argomenterebbero, l’Italia è il Paese culla della cultura mondiale, colei che custodisce il 30% delle ricchezze culturali del mondo intero, che si permette di conservare in cantina qualche milione di opere d’arte: e poco importa se ciò avviene perché in fondo sono di minore interesse, o perché chi è chiamato a valorizzarle non mostra verso di esse nessun interesse! Come lasciar fuori dunque dal tavolo chi fa ricerca e dovrebbe trasferire le innovazioni e le invenzioni dalle aule e dai laboratori verso le fabbriche e le manifatture? Impossibile.

Intesi: ci saranno anche loro attorno a quello che prima era un tavolo e ora sta lievitando fino a divenire una tribuna. Dopo di che all’appello dovrebbero mancare solo gli architetti (ambiente, turismo, innovazione ed edilizia), gli ingegneri (competenti in tutto e su tutto), i notai (per continuare a garantirsi un’area di sicuro guadagno, e poi la crisi ha colpito anche loro, e i ricchi piangono come i poveri!), gli avvocati (no, questi sono già compresi tra i politici), i geologi (l’Italia è un Paese a rischio sismico).

Ecco immaginiamo questo tavolo, che deve decidere come intervenire per rilanciare l’industria e il sistema manifatturiero. Immaginiamolo convocato (in uno stadio presumibilmente vista la mole dei componenti), immaginiamo il discorso di un Renzi esaltato come sempre dalla folla, il quale sente però che qualcosa si è rotto, che è fallita la sua idea di far da solo, di semplificare, di ridurre tutto all’essenziale. Cosa potrà mai dire il nostro Premier? Quali temi potrà mai affrontare questo Tavolo?

Per fortuna il sogno continua, e così possiamo venirlo a sapere. Primo argomento, il costo dell’energia: stoccare in magazzini grandi quantità di gas, diversificare le fonti di approvvigionamento, intervenire sulle reti di distribuzione, razionalizzare i costi, tagliare le accise, e infine, ma sì, tocchiamo anche l’ultimo tabù, dare il via a centrali nucleari? Ecco tutto il dibattito si concentrerebbe su questo argomento, per il quale peraltro, ci sarebbe un referendum da bypassare, ma, escluso quello, i comuni si dichiarerebbero d’accordo, a condizione però che gli interventi si facessero ad almeno 50 chilometri da ogni comune italiano, senza deroghe; i geologi ne sosterrebbero la fattibilità, ma solo dopo che essi abbiano tracciato una mappa sismica di tutta l’Italia. I notai sull’argomento tacerebbero, mentre parlerebbero gli architetti e gli ingegneri divisi tra chi è d’accordo (quelli che avrebbero il lavoro) e i contrari (quelli che vivono costruendo case a impatto zero in zone per straricchi).

Vista la difficoltà, si passerebbe al secondo argomento: la lentezza della giustizia civile. Il primo incontro verterebbe su lentezza: l’Anm riterrebbe tale parola un insulto, uno sfregio alla Costituzione, un attacco alla indipendenza della magistratura. Non sono i giudici che sono lenti, sono i processi che non finiscono mai per colpa delle strutture e delle infrastrutture, della mancanza di personale, delle ferie arretrate, delle fotocopiatrici che non vanno, del sistema, della democrazia (che manca), e via elencando. Superato questo primo scoglio, resterebbero poi da discutere gli interventi riformatori: albi dei pagatori, albi dei debitori, riforma della cessione del quinto dello stipendio, garanzie bancarie, vie riservate per chi ha questi problemi, costi ridotti di accesso alla giustizia. Ma senza affrettarsi troppo: in fondo alcune decine di migliaia di aziende, piccole piccolissime, e di artigiani che si industriano per vivere e tenere in piedi l’Italia, starebbero aspettando che qualcuno garantisca loro la certezza di essere pagati per il lavoro svolto, e in attesa di ciò hanno come sola soluzione quella di indebitarsi. Con chi? Con le banche, per i più fortunati!

Così saremmo arrivati al tema del credito: banche solide, ma che fanno business soprattutto con la Borsa e i titoli, e assai meno con il credito alla imprese? Beh, direbbe l’Abi, l’Associazione Bancaria, non è che possiamo rischiare i soldi di tutti quando non vi sono certezze imprenditoriali o patrimoniali. Giusto: ma questo, risponderebbero i consumatori, non vale anche quando rischiate di fallire voi, e lo Stato, cioè tutti noi, vi salva? Qui saltiamo una scena davvero poco edificante che, sempre nel sogno s’intende, avverrebbe tra banchieri, politici, avvocati, associazioni di impresa e via discorrendo. Ritornata la calma, la discussione proseguirebbe di fronte a un Renzi sempre più allibito e ormai convinto dell’inutilità della propria esistenza (politica).

Si toccherebbero poi, sempre con questo metodo e con risultati simili, altri argomenti, come il taglio delle tasse (sul quale tutti sarebbero d’accordo, mentre un Renzi silenzioso si vedrebbe accollare il conto finale), il costo del lavoro (Confindustria al tavolo porterebbe, come esperto del settore, il presidente del sindacato cinese dei metalmeccanici), la semplificazione burocratica (respinta la richiesta di intervento di Salvatore “Totò” Riina), la ricerca e l’innovazione, lo sviluppo del commercio e delle reti estere, il sostegno all’artigianato e alle reti imprenditoriali, la formazione e la scuola.

Ecco il sogno finirebbe così, di colpo, con un risveglio un po’ amaro e un po’ penoso. Ma anche con una domanda: i notai, perché i notai non hanno parlato? Ma perché i notai non parlano mai, al limite assistono e, appunto “fanno i notai”. E dalla discussione hanno avuto la certezza che nessuno toccherà la loro riserva di caccia. Però in fondo anche loro, come tutti gli altri italiani, sono pronti a una riforma vera, cioè una riforma che tocchi chiunque, che cambi tutto, che modifichi ogni cosa. Tranne se stessi, of course.