Bamboccioni, sfigati, choosy, svogliati. Dopo Padoa Schioppa, Michel Martone, Elsa Fornero e John Elkann, è la volta di Oliviero Toscani stroncare i giovani: “i Millennials sono una generazione del cazzo, sono delle seghe; ma non è colpa loro”. Questo in sintesi il pensiero del celebre fotografo milanese in un’intervista rilasciata al quotidiano Libero. Avendo già commentato a suo tempo le uscite degli illustri predecessori, non vogliamo qui soffermarci troppo sulle parole di quel grande provocatore che è Oliviero Toscani, semmai riflettere su ciò che può essere di queste nuove generazioni, anche alla luce di qualche novità che fornisce elementi originali a completamento del quadro.



I Millennials, a differenze di molte giovani generazioni del ventesimo secolo, non si sono trovati sul palcoscenico della guerra – Deo gratias -, ma hanno goduto di condizioni piuttosto agiate, del crescente consumismo e del buonismo dei loro padri, quantomeno fino all’esplodere nel 2008 di una delle più grandi crisi economiche che la storia ricordi. E, a quanto pare, è proprio questo grande evento storico a segnare la loro vita in modo determinante. 



Da una recente ricerca condotta dall’Institute of Politics dell’Università di Harvard è risultato infatti che, nei giovani tra i 19 e i 25 anni, solo il 42% degli intervistati è a favore del capitalismo, mentre la maggioranza (51%) ne ha un’opinione negativa. I numeri hanno fatto discutere i media americani, al punto che il Washington Post è arrivato a chiedersi se la crisi non stia cambiando gli orientamenti culturali delle nostre società e se non siamo prossimi a un cambio generazionale destinato a trasformare gli equilibri economici e sociali.

Quel che è certo è che i dati della prestigiosa università americana confermano ciò che hanno segnalato anche altri istituti di ricerca europei: nel modus vivendi e nei desiderata dei Millennials – americani ed europei – sta cambiando qualcosa. I Millennials sono alla ricerca di un equilibrio diverso tra il sé e la comunità, capace di superare l’individualismo sfrenato che ha caratterizzato lo sviluppo sociale degli ultimi decenni.



Mentre i giovani di ieri hanno beneficiato di luoghi aggregativi e formativi che in alcuni casi facevano anche da ascensore sociale – vedi il circolo di partito, il sindacato, gli oratori, le associazioni in genere -, i Millennials hanno avute molte meno possibilità da questo punto di vista. Uno dei più grandi studiosi del fenomeno giovanile – Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e già docente di Psicologia all’Università degli studi di Milano – ha più volte insistito sulla “morte dei luoghi della speranza”, che altro non è che l’effetto della crisi della persona: ciò che la spinta individualista mette in crisi, prima di tutto, è il legame con l’altro, da cui segue la crisi del corpo intermedio, sia esso partito, sindacato, oratorio, associazione varia, per non parlare del fenomeno della disgregazione della famiglia e delle difficoltà della scuola.

La crisi della persona è un fenomeno che inizia negli anni Settanta e che arriva ai nostri giorni in modo sempre più complesso. I luoghi dell’associarsi vanno in crisi: l’etica collettivista non regge, è il valore della persona che genera aggregazione. Nessuna etica tiene senza la spinta dell’io verso l’altro da sé: l’uomo è un essere relazionale e ciò che lo guida nel suo essere in relazione con l’altro è il desiderio, fattore di costruzione sociale, di generazione e di sviluppo in un’ottica pluralista; il desiderio è fattore di origine dell’ideale e fattore continuo di cambiamento interno.

Se guardiamo il fenomeno Millennials partendo da qui, ci accorgiamo che questa riscoperta del legame relazionale – che nulla ha a che vedere con l’etica collettivista piuttosto che liberista – è l’unica cosa che può ribaltare oggi lo status quo e gettare la basi per un nuovo paradigma economico e sociale. Nelle economie avanzate, in particolare, il mercato non cambierà, sarà sempre a trazione del capitale. Il punto è, semmai, quanto possono cambiare i suoi attori.

Già il grande Aristotele affermava che “l’uomo è un animale sociale”: la natura relazionale dell’essere umano può essersi “distratta”, ma non può essere svanita. Saranno i Millennials a riscoprirla?

 

Twitter @sabella_thinkin