Cesare Damiano torna a chiedere che il Governo stanzi 2 miliardi di euro per la riforma delle pensioni.” In caso contrario molte aspettative andrebbero deluse e si accentuerebbero i fattori di crisi e di conflitto sociale”, avverte l’ex ministro del Lavoro. Il quale poi ricorda che per l’ottava salvaguardia degli esodati, “che potrebbe riguardare circa 30.000 lavoratori, le risorse ci sono e il Governo potrà raggiungere questo importante obiettivo, che chiuderebbe definitivamente il problema degli esodati, a costo zero. Idem per Opzione Donna, per la quale è prevedibile la realizzazione di un risparmio nel monitoraggio previsto a settembre, che consentirebbe di prolungare la sperimentazione e di mandare in pensione altre lavoratrici. Anche questo a costo zero. Infine, non va trascurato il fatto che nel Fondo dei lavori usuranti esistono ancora risorse significative che possono essere utilizzate e da aggiungere ai 2 miliardi della manovra-pensioni”.
Che il rallentamento del Pil in Italia possa compromettere la riforma delle pensioni allo studio del Governo lo scrive anche Il Corriere della Sera, senza mezzi termini. Del resto occorre far diminuire il deficit pubblico, dato che la crescita non sarà sufficiente a tenerlo sotto il livello concordato con l’Ue. Dunque ci saranno meno risorse a disposizione per le politiche “espansive” che il Governo ha cominciato a snocciolare negli ultimi mesi: dal taglio delle tasse fino appunto alla riforma delle pensioni. Senza dimenticare che occorrono investimenti pubblici. Secondo il quotidiano milanese, nella Legge di bilancio “la priorità verrà data agli investimenti pubblici e agli sgravi per favorire quelli delle imprese private, in particolare sull’innovazione, mentre non c’è più spazio per l’ipotesi di anticipare al 2017 il taglio dell’Irpef previsto nel 2018 e sono pochi i fondi a disposizione per le pensioni e i contratti pubblici. Considerazioni che suonano come uno stop ai piani di Renzi e del suo sottosegretario Nannicini”.
Per Alberto Brambilla, le poche risorse che sono a disposizione andrebbero usate per politiche di sviluppo e per la riduzione del cuneo fiscale non per la riforma delle pensioni. Il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, parlando all’Agi, spiega che “se ci sono dei quattrini, forse è meglio metterli sul motore sviluppo e cioè incentivare l’occupazione”. Questo perché ci sono troppi pochi lavoratori rispetto ai pensionati e dunque il sistema rischia di non reggere. “Se i lavoratori attivi sono pochi e pagano pochi contributi e pagano poca Irpef che finanzia una parte non piccola dell’assistenza sociale è evidente che il problema si pone”, evidenzia l’ex sottosegretario al Welfare. Brambilla non nasconde che bisognerà comunque prima o poi intervenire sulla Legge Fornero, visto che “ha eliminato e indicizzato all’aspettativa di vita l’anzianità contributiva”. “Tra un po’ ci vorranno 45 anni di anzianità contributiva per andare in pensione, non c’è un Paese al mondo così”, aggiunge.