Nonostante le novità degli interventi legislativi introdotte dal Jobs Act, la situazione attuale del mercato del lavoro italiano è dominata da elementi di criticità eterogenei che, da un lato, impediscono di superare la crisi occupazionale ormai diventata patologica in tutti i settori e, dall’altro, favoriscono, alimentandola, la perdita di competitività del sistema produttivo italiano. Non può essere più ignorata la necessità di accrescere la competitività del nostro Paese – come più volte ribadito e sottolineato dai pronunciamenti della Bce, della Commissione europea e del Fmi – e di intervenire attivamente per favorirne la riduzione del costo lavoro, la produttività, il tasso di crescita e l’occupazione; soprattutto ormai che il mercato del lavoro è ed è sempre più rivolto alla globalizzazione.
A tal proposito uno studio del 2015 (Labour Cost Index 2015) condotto da Verisk Maplecroft – società leader mondiale nell’analisi dei rischi per gli investitori – ha classificato l’Italia come il Paese “più rischioso” per il costo del lavoro tra i 172 elencati nel ranking: pesano la valutazione combinata di costi salariali, rapporto tra stipendio e produttività e oneri vari per le aziende che assumono.
Si pensi soltanto che nel periodo tra il 2005 e il 2013 il cuneo fiscale sui lavoratori a bassa retribuzione è aumentato in Italia dal 42,5% al 44,9%; mentre secondo lo studio “Taxing Wages” del 2016 dell’Ocse, in Italia il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti è arrivato al 49% e allontanandosi ancor più della media Ocse (35,9%). Sulla base di un report prodotto dall’Ocse del 2015, il nostro Paese registra contributi previdenziali (circa il 33%) tra i più elevati al mondo, il settimo su scala mondiale. Il tasso di disoccupazione generale per il 2016 è del 11,9%, nell’ambito del quale il dato giovanile (dai 15 ai 24 anni) è aumentato dello 0,7% rispetto al dicembre 2015.
Non è ipotizzabile competere a livello globale senza intervenire per rendere il costo del lavoro uniforme e concorrenziale in ambito europeo (flat rate). In Italia gli oneri a carico del datore di lavoro sono molto elevati e superiori alla media europea, con un notevole svantaggio per le imprese: negli ultimi 15 anni il costo del lavoro in Italia è aumentato del 30% rispetto alla Germania. È necessario, quindi, rendere maggiormente competitivi a livello europeo i costi da sostenere per avviare un’attività imprenditoriale.
Un ulteriore intervento di riforma dovrebbe essere volto alla semplificazione burocratica e alla digitalizzazione. In particolare, si dovrebbero ridurre, razionalizzare e digitalizzare le attività e gli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa del rapporto del lavoro che incidono sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate. Sempre nell’ottica della semplificazione e razionalizzazione sarebbe opportuna la creazione di un Testo unico del lavoro: la stratificazione normativa, infatti, non facilita la comprensione legislativa e ostacola fin dal nascere qualsiasi iniziativa volta ad accrescere l’occupazione. Sarebbe, dunque, auspicabile un intervento volto a sfoltire le numerose leggi, decreti, circolari, interpelli che regolano la materia del lavoro e costruire un corpus normativo unitario chiaro, preciso, coerente sotto forma di Testo unico, in modo da poter essere accessibile a tutti gli interessati, ma, soprattutto, di facile interpretazione.
Per garantire una maggiore competitività nel sistema produttivo italiano si possono ipotizzare – per contratti di lavoro già esistenti – clausole di flexsecurity, che, entro determinati limiti stabiliti dalla legge, consentano al datore di lavoro di mutare unilateralmente l’orario di lavoro, le mansioni, la retribuzione, ecc. La clausola di flessicurezza avrebbe come scambio l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore e potrebbe essere utilizzata solo in presenza di specifiche esigenze produttive, organizzative e/o tecniche da comunicarsi al lavoratore. Tale clausola, inoltre, dovrebbe prevedere un termine di preavviso e, comunque, non potrebbe essere utilizzata con specifici soggetti “deboli”, quali, ad esempio, lavoratrici madri e disabili.
Altra considerazione su quella che dovrebbe essere una riforma strutturale è rivolta alla valorizzazione dellameritocrazia retributiva e della contrattazione aziendale. Da una parte, la valorizzazione del ruolo della meritocrazia dovrebbe essere posta come parametro fondamentale per la crescita del lavoratore, prevedendo la possibilità di aumentare i salari mediante l’adozione di sistemi incentivanti su base “meritocratica” che tengano conto del raggiungimento di specifici obbiettivi di efficienza e produttività, con riconoscimento di una quota fissa di retribuzione e di una variabile. Dall’altra parte, invece, il ruolo della contrattazione aziendale dovrebbe essere valorizzato quale leva strategica per: far crescere la produttività e i salari, mediante l’adozione di modelli flessibili volti a favorire nuova occupazione; aumentare le forme di conciliazione e di welfare aziendali; spingere la flessibilità in uscita attraverso l’adozione di modelli innovativi per la ricollocazione di lavoratori in fase di espulsione dal mercato del lavoro per effetto di processi di riorganizzazione produttiva o di crisi aziendali (o territoriali), da realizzare attraverso il concorso responsabile e partecipato dell’impresa, delle organizzazioni di rappresentanza sindacale e datoriali e degli organismi bilaterali.
È ormai incontestabile come sia importante, per favorire il tasso di crescita e l’occupazione, colmare il gap scuola-lavoro. Nella situazione attuale i giovani risultano essere svantaggiati dalle condizioni del mercato del lavoro e la difficoltà a reperire un lavoro colpisce direttamente anche i laureati. È auspicabile intervenire incrementando e valorizzando le sinergie tra le imprese e il sistema di istruzione-formazione attraverso appositi percorsi di orientamento che sappiano indirizzare i giovani verso facoltà che assicurino impieghi in base alle esigenze di mercato. Tutto questo sostenendo il valore formativo del lavoro e, conseguentemente, di progetti di alternanza scuola-lavoro come metodologia fondamentale nell’ambito dei percorsi di istruzione e formazione
Si richiede al legislatore di intervenire, poi, con politiche attive e servizi per il lavoro attraverso la promozione di interventi finalizzati al reimpiego dei lavoratori anche mediante servizi di riqualificazione mirati e di concentrare le risorse su interventi concreti di supporto alla ricollocazione esterna del personale in esubero.
Nell’ordinamento italiano bisognerebbe prevedere una disciplina generale e unitaria sulla partecipazione finanziaria dei lavoratori; considerando anche gli orientamenti comunitari in questo senso, occorrerebbe incentivare interventi normativi volti alla promozione di questa pratica. Il legislatore dovrebbe limitarsi a prevedere norme e istituti generali a cui attenersi nell’adozione di una forma partecipativa (in ogni caso facoltativa), rispettando così quelle che sono le peculiarità delle singole aziende.
Sulla scorta di quanto previsto dalla programmazione comunitaria, è opportuno prevedere un ponte generazionale accompagnato dall’incentivazione di forme di previdenza complementare. Per ponte generazionale si intende, sostanzialmente, forme di collegamento tra i processi di assunzione dei giovani e il sostegno all’invecchiamento attivo, sviluppando strumenti di sostegno che prevedano, a fronte dell’assunzione di giovani, incentivazioni a beneficio dei lavoratori anziani della medesima azienda.
Una particolare attenzione dovrà essere posta all’area del disagio. In tal senso, per essere calibrata al bisogno, l’offerta di servizi dovrà configurarsi come una vera e propria presa in carico per accompagnare, con una certa continuità nel tempo, il cittadino che si trova in una qualsiasi situazione di svantaggio, nel suo percorso verso l’obiettivo di trovare la giusta combinazione fra potenzialità e condizioni della persona e sistema sociale e produttivo. Questo potrà essere raggiunto incentivando la previdenza complementare, favorendo tramite i contratti collettivi di lavoro l’adesione generalizzata dei lavoratori ai fondi pensione. Sempre nell’ambito riguardante l’area del disagio, una particolare attenzione deve essere rivolta al cittadino che si trova in una qualsiasi situazione di svantaggio; di conseguenza bisognerà intervenire e revisionare le attuali misure di contrasto alla povertà con determinazione di criteri e parametri attraverso i quali individuare i soggetti che effettivamente potranno usufruire delle misure di sostegno del reddito e dei servizi sociali attivi.
Al fine di rendere maggiormente flessibile la gestione delle crisi aziendali, sulla scorta di alcuni modelli europei, come ad esempio la Spagna, si potrebbe prevedere una maggiore flessibilità in uscita mediante l’introduzione di una tipologia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo al ricorrere di mancanze del lavoratore spesso oggetto di strumentalizzazioni e abusi (per esempio assenteismo ingiustificato, scarso rendimento).
Interventi diretti alla gestione delle crisi occupazionali e/o aziendali devono riguardare politiche passive e la previsione di ammortizzatori sociali anche a livello europeo. Si punterà sull’utilizzo di questi strumenti da parte delle aziende per le effettive necessità anti-cicliche, sulla linea dei criteri che dovranno essere definiti e si dovrà incrementare e agevolare una sinergia fra erogazione dei sussidi e partecipazione attiva alle politiche attive da parte dei lavoratori beneficiari.
In tema di flessibilità in ingresso si intende favorire il ricorso a forme di assunzioni particolarmente “agili” per le aziende (soprattutto Pmi) che procedano alla stipula di contratti di lavoro con lavoratori “over 50”. Al fine di garantire una maggiore facilità di reperimento dell’occupazione si dovrà favorire l’introduzione di “clausole di flessicurezza” che attribuiscano al datore di lavoro la facoltà (regolamentata) di introdurre deroghe e flessibilità specifiche sul e durante il rapporto di lavoro. Ciò in cambio dell’assunzione del lavoratore “over 50” con un contratto a tempo indeterminato. In tal modo si favorirebbe il ricambio tra generazioni nell’ambito delle imprese.
Infine, si ritengono necessari interventi diretti a riordinare la normativa fiscale per favorire la deducibilità da parte dell’azienda datrice di lavoro della formazione espletata dagli “over 50” e per consentire il pagamento di forme di contribuzione volontaria per tali lavoratori espulsi dal ciclo produttivo in aggiunta alla contribuzione figurativa.