“Le politiche attive per il lavoro sono una sfida culturale per l’Azienda-Italia: le agenzie private sono pronte”. Lo dice Stefano Colli Lanzi, Ad di Gi Group. Al Meeting confronto con Anpal, sindacato e Regioni. “L’Azienda-Paese sta recuperando punti di competitività: più di quanto appaia. Il mercato si va pulendo, le aziende sono più pronte: la ripresa è ancora graduale, ma la vedremo”. Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di GiGroup, è giunto a Rimini con una visione non negativa della congiuntura e quindi dell'”employability” dei centinaia di migliaia di italiani giovani o meno giovani: quelli che continuano a chiedere al Jobs Act di tradursi in nuova occupazione.  Le agenzie del lavoro (Colli-Lanzi è vicepresidente di Assolavoro) sono convinte di aver già tenuto il campo:  grazie agli sgravi varati con la riforma, il settore della somministrazione ha raddoppiato da 20mila a 40mila i dipendenti a tempo indeterminato, dando concretezza al ruolo degli intermediari privati nell’aumentare la flessibilità del mercato. Ora sembra giunto a maturazione il dossier “politiche attive del lavoro”: l’Agenzia nazionale è impegnata a definire nelle prossime settimane tutti gli standard per la ricollocazione. L’incontro in calendario oggi al Meeting (“A ognuno il suo lavoro”) si annuncia come una riflessione mirata sulle politiche attive. Con la moderazione di Dario Odifreddi (Fondazione Piazza dei mestieri), Colli Lanzi discuterà con il direttore generale dell’Anpal, Salvatore Pirrone; con Anna Maria Furlan, segretario generale della Cisl e con Elena Donazzan, assessore al Lavoro della Regione Veneto.



Quante persone saranno interessate dal primo macro-test sulla ricollocazione? Alcune stime ipotizzano che con un budget di 100 milioni possano essere mobilitati 50mila iscritti dalle liste Naspi.

Le cifre saranno certamente importanti, così come le regole: siamo tutti in attesa di conoscere i meccanismi definitivi delle politiche attive. Il confronto fra Assolavoro e Anpal è stato molto costruttivo: siamo fiduciosi che alcuni nostri suggerimenti vengano accolti, ad esempio l’inclusione di un  “criterio di contesto locale” nel curriculum soggettivo di un lavoratore da ricollocare.  Alcune aree del paese possono essere più complesse di altre. Ma a mio avviso la sfida delle politiche attive resta più culturale che tecnica. Non dimentichiamo che il successo dell’iniziativa è anzitutto legato alla volontà del lavoratore. Possono essere predisposti, finanziati e infine gestiti dalle agenzie i modelli più efficienti, ma non funzioneranno se non scatta la libertà del singolo di rimettersi in gioco: di abbandonare le forme tradizionali di assistenza passiva per cercare un nuovo percorso occupazionale, anzi un nuovo itinerario umano. E il singolo lo farà se attorno a lui maturerà un clima nuovo e condiviso.



Sperimentare le politiche attive significa quindi ripensare tour court il lavoro, le vie d’accesso, il suo ciclo di vita sostenibile?

Certamente. Io mi trovo a chiedere spesso, soprattutto in Italia in questi anni: ma davvero manca il lavoro? Oppure manca la volontà e la capacità di ripartire dai bisogni e della competenze? Ho l’impressione il dibattito sul lavoro sia fermo alla spartizione di una torta di salari, per di più sempre più piccola. Invece Frey e Osborne, l’anno scorso, hanno previsto che nei prossimi 10 anni il 47% dei “jobs” sarà a rischio sostituzione per ragioni tecnologiche. Il punto non è ritrovare un lavoro per alcuni: il problema dell’employability  oggi è capire come offrire ai giovani education e orientamento e ai meno giovani sentieri di adattamento periodico. Realizzare lo politiche attive in Italia vuol dire scuotere tutti gli attori del mercato del lavoro. Anche noi agenzie del lavoro: il bacino Naspi è dell’ordine delle molte centinaia di migliaia. Noi auspichiamo e prevediamo che siano decine di migliaia coloro che vorranno imboccare l’opportunità del ricollocamento e questo metterà alla prova anche noi intermediari. Dovremo aumentare la nostra capacità di aggiungere valore anzitutto in termini di formazione: nessun potenziale impiego può essere trascurato, nessuna competenza personale e professionale può essere sprecata. La capacità di specializzare, ad esempio, sarà sicuramente un terreno di verifica forte per le agenzie.



 

Le politiche attive segnano il ritorno tendenziale dell’azione statale nello stimolo al mercato del lavoro, da tempo competenza delle Regioni.  Sono maggiori le opportunità o i rischi?

 Il lavoro è forse la priorità strategica dell’agenda italiana: sviluppare in tutti i suoi filoni una grande riforma come il Jobs Act è una responsabilità per tutte le forze istituzionali ed economiche del Paese. In questi anni molte Regioni hanno sperimentato loro politiche del lavoro: ma non tutte per davvero. E le differenti ricette applicate hanno dato ovviamente esiti diversi. Ecco, io sono convinto che le politiche attive nazionali possano sollecitare quelle Regioni che ancora non si sono realmente misurate sul terreno e spingere quelle più avanzate a confrontare i rispettivi modelli e selezionare le pratiche migliori.

Leggi anche

IDEE/ Il "fattore P" per aiutare lavoro e PilFINE AGOSTO/ Il tempo si è fermato, ma il Meeting lo fa ricominciareGENE GNOCCHI/ "Sconcerto rock", l'intervista: la musica che ci faceva battere il cuore