Forse sta partendo una stagione nuova, ma così nuova che rischia di essere letta ancora con gli schemi vecchi di una contrapposizione Confindustria-Sindacato. Contrapposizione che però, se guardiamo un po’ i primi (timidi) segnali che ci giungono da Roma e dintorni, fa a pugni proprio con tutti quegli indicatori che invece parlano di un cambiamento di tendenza. 



Boccia (nel senso di Vincenzo Boccia, il presidente di Confindustria), ha posto le sue condizioni in vista dellaLegge di stabilità, cioè del prossimo bilancio dello Stato. E si tratta di condizioni che se in apparenza sono moderate (“non possiamo chiedere la luna”), nascondono in realtà precise (e per nulla “a costo zero”), richieste rivolte al Governo. A suo giudizio serve “una politica dell’offerta” che renda competitivo “un apparato industriale importantissimo”, che riattivi il circolo virtuoso dell’economia, più investimenti, più occupazione, più domanda interna. In buona sostanza si deve partire dall’offerta e non dalla domanda – ha concluso Boccia. Il che dovrebbe tradursi in operazioni selettive sulla produttività e sugli investimenti privati. Insomma, e questa è la lettura più naturale, quel poco che c’è dovrebbe andare alle imprese, sperando che così si riattivi il ciclo della produzione della ricchezza.



Ovvio che sui giornali qualche commentatore si sia subito lanciato sulla preda attirato dal consueto odore del sangue e della rissa: e i sindacati? Non saran mica d’accordo su questa impostazione vero? In effetti il parere del sindacato è diverso, ma lo è, a ben guardare, solo perché declina quel che Boccia dice. Sorprendentemente, poi, contiene accenti simili: puntare sulla produttività, ha già fatto sapere Annamaria Furlan, segretaria della Cisl, va benissimo, ma solo se insieme si lavora per una vera partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa, se si creano le condizioni per un’innovazione virtuosa dell’attuale sistema contrattuale, se aumentare la produttività non si riduce a pensare che occorre solo obbligare il dipendente a produrre più pezzi in un dato lasso di tempo. Come dire che tra imprenditori e dipendenti si sta timidamente affermando un vocabolario comune, che prevede la centralità del manifatturiero, e che non contempla invece antiche parole d’ordine. 



Vuoi vedere che forse stavolta non assisteremo al consueto filmetto autunnale di Confindustria che fa una richiesta e del sindacato che, come in un laboratorio scientifico, risponde per reazione indotta chiedendo altro e di più? Certo, i contendenti sono ancora tali, ognuno fa la sua parte, e il sindacato non è un caso che da settimane abbia aperto un confronto su pensioni, sui temi sociali della povertà e sul lavoro, ma il sottile fil rouge che lega le richieste di imprenditori e dipendenti e pensionati parla di tentativi di lavoro comune più che di prefigurazioni di scontri dialettici. 

Al di là di qualche osservatore che, però, è sembrato più interessato a trovare nei fatti conferme a posizioni che parlano ideologicamente di contrapposizione invece che di collaborazione, chi osserva con occhio non malizioso riconosce tra le righe gli avvisi (i filosofi parlerebbero di meta-avvisi) di un lavoro comune. Anche perché, a ben pensarci, le proposte di Boccia non sono neppure state il frutto di una sua autonoma iniziativa, ma sono nate da un precedente intervento del ministro Carlo Calenda. 

Ragioniamo a voce alta: se non è Confindustria che forza, e se i sindacati non stanno alzando le barricate, se il Governo stimola ma senza imporre, non sarà che tutte le parti sono impegnate a creare le condizioni per qualche richiesta congiunta da presentare al Governo? Come dire: non è che l’intento sarebbe di mettere Competitività e Produttività in un manifesto condiviso che parli di rilancio del Paese? Fantapolitica? Può essere, ma le prossime settimane, da questo punto di vista, si riveleranno decisive.

In effetti produttività è qualcosa di più e di meglio che non tornare al vecchio sistema del controllore con l’orologio in mano e il fischietto in bocca che detta i tempi. Se la strada maestra, e su questo moltissimi concordano, è quella di riuscire a far rendere di più gli impianti, il corollario è che da questi impianti escano prodotti attraenti, in linea con i costi del mercato e con le aspettative dei potenziali clienti: ma per raggiungere tale obiettivo anche i dipendenti dovranno poter assumere ruoli meno defilati nella gestione dell’impresa.

Se non altro per evitare che i modelli seguiti siano solo di ordine finanziario e non anche attenti a temi decisivi come la formazione continua, l’innovazione di prodotto (e non solo quella dei mezzi di produzione), la ricerca: capitoli invece decisivi per il futuro del sistema industriale italiano.

Non per caso una delle ricette vincenti nella Germania (e non solo in quella merkeliana, ma nella Germania post hitleriana) è stata proprio quella di valorizzare la compartecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa riconoscendone le competenze; e la compartecipazione, non scordiamolo, è un sostantivo tanto caro a quella Cisl che sta divenendo piano piano, silenziosamente, il perno di questa stagione così strana ma anche così innovativa.

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