“Proponendo l’Ape, la valutazione del governo è che l’attuale sistema è rigido e va modificato. Il problema è come realizzare la flessibilità in modo che non ci sia un peso eccessivo sui conti, rispetto a cui l’Unione Europea esercita un controllo. Il tema del prestito pensionistico nasce da questa doppia esigenza”. Lo rimarca Titti Di Salvo, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera dei deputati e membro della commissione Lavoro. Sabato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato che entro settembre sarà trovato l’accordo con i sindacati e che le risorse disponibili saranno ben più dei 500-600 milioni a oggi sicuri.



Onorevole Di Salvo, come valuta il metodo seguito dal governo nell’affrontare il tema delle pensioni?

Ritengo innanzitutto molto importante che ci sia stata la scelta di un confronto con i sindacati avvenuto su due tavoli: uno relativo al lavoro e l’altro alla previdenza. Parlare di un tema a prescindere dall’altro significherebbe avere un approccio non completo. Condivido quindi la scelta di un metodo di progressiva analisi delle soluzioni possibili, affrontando anche il livello delle pensioni minime, la rivalutazione delle pensioni, il carico fiscale che le riguarda e la no tax area dei pensionati.



Nello specifico che cosa che cosa ne pensa della soluzione individuata nell’anticipo pensionistico (Ape)?

Proponendo l’Ape, la valutazione del governo è che l’attuale sistema è rigido e va modificato. Il problema è come realizzare la flessibilità in modo che non ci sia un peso eccessivo sui conti, rispetto a cui l’Europa esercita un controllo. Tant’è che più volte l’Ue ha richiamato l’Italia a scelte prudenti dal punto di vista previdenziale. Il fatto di fare attenzione ai conti non è quindi una considerazione di carattere generale, ma un fatto legato a una situazione specifica. Il tema del prestito pensionistico nasce da questa doppia esigenza. Utilizzare tutte le risorse per l’uscita anticipata dal lavoro non consentirebbe di intervenire anche sugli altri fronti.



In concreto quali sono le soluzioni individuate?

Ci sono tre situazioni che vanno affrontate e risolte in modo differente. In primo luogo ci sono persone che decidono di andare in pensione prima di quanto le attuali regole prevedano. In secondo luogo ci sono le persone che sono uscite dal lavoro ma non hanno ancora maturato i requisiti per andare in pensione, e quindi si trovano in una situazione di limbo senza reddito. Una terza situazione riguarda imprese che fanno scelte di ristrutturazione per le quali vorrebbero agevolare l’uscita di parte del personale per potere assumere dipendenti più giovani.

Che cosa si fa per queste tre categorie?

Nel primo caso si tratterà di immaginare una penalizzazione per chi va prima in pensione. Nel secondo occorrerà trovare una modalità per cui sia l’anticipo non ricada per nulla sulle spalle delle persone. Ciò è possibile attraverso una detrazione d’imposta che neutralizzi l’importo del prestito. Nel terzo le aziende dovranno partecipare con la creazione di fondi, in modo da rendere compatibile l’uscita delle persone per evitare che queste ultime debbano rimetterci in modo consistente.

 

L’Ape comunque crea uno sbilancio di cassa iniziale?

No. I conti attuariali sono fatti sulla base delle regole vigenti. Se si anticipa l’età per andare in pensione, vuole dire che lo Stato modifica quei conti perché le persone vanno in pensione prima di quanto previsto e quindi il pagamento dell’assegno avviene a sua volta prima. Contemporaneamente si riducono le entrate perché non c’è più il versamento dei contributi. I conti si fanno in termini attuariali, e se io cambio le regole devo cambiare le previsioni. In particolare io alla voce uscite avrò delle pensioni che pago prima del tempo previsto. Quando però le persone vanno via prima, ma non le paga direttamente lo Stato bensì lo si fa attraverso un prestito, i conti pubblici rimangono quello che erano prima.

 

(Pietro Vernizzi)