In Italia ci sono quasi 5 milioni e mezzo di lavoratori autonomi. Ce lo dice l’Istat nell’ultima rilevazione. Tra questi, 1,5 milioni sono liberi professionisti. Numeri interessanti che, se letti in profondità, ci parlano di un mondo in continuo movimento. Di questi oltre 5 milioni colpisce prima di tutto la varietà delle figure professionali. Si va da chi sceglie di aprire una partita Iva ed essere un lavoratore indipendente, a chi non ha scelta e lo deve fare per “esigenze” aziendali, passando da chi è un collaboratore coordinato e continuativo e proprio autonomo non è, ma per la legge risulta comunque “autonomo”. Il dibattito sul lavoro nel nostro Paese su questi temi è fin troppo fermo: ci si focalizza sul, pur importante, problema dei falsi lavoratori autonomi e dei collaboratori, ma molto meno sulla valorizzazione dei bisogni di chi sceglie di portare avanti la professione in autonomia. La sfida oggi, anche in concomitanza con il Jobs Act autonomi in discussione al Senato, è di spostare in alto l’asticella del dibattito.
Per chi sceglie la via dell’indipendenza esistono tre bisogni che non possiamo più sottovalutare: cambiamento delle regole, servizi e rappresentanza. Prima di tutto inquadriamo chi sono i lavoratori indipendenti. Sono tutti coloro che investono su loro stessi e nel proprio mestiere scegliendo di mettersi in gioco attraverso lo sviluppo del proprio brand, offrendo prestazioni di natura intellettuale. Sono liberi nella gestione del proprio tempo e il loro posto di lavoro non è fisso, ma sempre più svolgono il loro lavoro in maniera agile e in ambienti condivisi. Un mondo composito con bisogni del tutto nuovi e che sarebbe sbagliato trattare con la logica settaria del “con badge” e “senza badge”. Un mondo autonomo che necessita di una realtà associativa che li rappresenti e che sia realmente in grado di prendersi carico delle esigenze di chi ha la partita iva. Ma da dove nasce questa necessità?
Nasce dal bisogno di creare un’identità forte che raccolga per le esigenze e i bisogni di chi è lavoratore indipendente anche attraverso le richieste di quei diritti di cittadinanza che ancora devono essere riconosciuti a chi ha un lavoro autonomo. Partendo da dove? Da un fisco equo, una formazione agevolata, pensioni dignitose passando per un tangibile sostegno alla famiglia e al reddito, in caso ad esempio di chiusura forzata dell’attività. Ma oggi non è così, chi ha una partita Iva individuale, troppo spesso, ha la percezione di essere solo, in balia tra la ricerca di commesse, spese che invece non aspettano e diritti non ancora riconosciuti. E se è vero che a esigenze nuove devono corrispondere risposte nuove, allora per cambiare davvero le cose, c’è bisogno di costruire un dialogo in grado di cogliere i bisogni di chi è indipendente.
Il sindacato può essere una realtà che fa questo? Per noi di vIVAce sì, per questo abbiamo deciso di creare insieme alla Cisl un’associazione che si occupi di lavoratori indipendenti e che attraverso una community recepisca per il tramite del sito www.vivaceonline.it i bisogni, crei identità e dia risposte a chi intraprende la strada dell’autonomia.
Abbiamo voluto creare una piazza virtuale che attraverso la rete faccia incontrare i lavoratori indipendenti di ogni professione e di ogni città. Un luogo d’incontro virtuale sì ma che si concretizzi sul territorio attraverso una rete di servizi e degli spazi comuni in cui incontrarsi. Abbiamo proposto la nostra sfida al sindacato con l’obiettivo di far emergere e colmare tutte le pecche del sistema fiscale, lavoristico e civilistico in materia di lavoro autonomo, ma anche e soprattutto con l’obiettivo di superare definitivamente la contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente, riportando al centro la tutela del lavoro in tutte le sue forme. Perché alla fine chi lo dice che la rappresentanza è solo del lavoro dipendente?