La riforma delle politiche attive del lavoro, intesa come la costituzione dell’Agenzia delle politiche attive del lavoro (Anpal), è strutturata sulla convinzione che al prossimo Referendum vinca il “Sì”. In questo caso, le competenze in materia di politiche attive del lavoro passano allo Stato, l’Anpal diventa “detentrice” della gestione e organizzazione dei servizi pubblici per l’impiego e, soprattutto, nella progettazione delle politiche attive del lavoro (in primis, con l’erogazione dell’Assegno di ricollocazione).



Il caos attuale che vede le Province (abrogate dalla futura riforma costituzionale) al momento in totale “dissesto finanziario”, ma ancora delegate dalle rispettive Regioni alla gestione dei Centri per l’impiego, dovrebbe terminare entro il 2017, quando tutte le competenze finiranno in capo all’Anpal. Tuttavia, la situazione in caso di vittoria del No rischia di complicare notevolmente i rapporti tra Stato e Regioni. Alcune di queste, come la Lombardia, hanno visioni politiche e di gestione completamente diverse da quelle del Governo e della stessa Anpal, e un eventuale ricorso alla Consulta rischia di produrre un nuovo periodo di “transizione”.



Periodo che gli attuali Centri per l’impiego non possono certo permettersi: già al momento la maggioranza di loro gode di una pessima “reputazione”, ma il rischio è che una prolungata “transizione” produca effetti negativi anche in quei Centri per l’impiego che con mille difficoltà hanno prodotto dei buoi risultati. D’altronde se per altri due/tre anni, si andrà avanti con pochissime risorse, senza una progettazione “strutturata” e senza l’indispensabile riorganizzazione/sostituzione di una parte del personale, il disastro diventa quasi una certezza.

La balcanizzazione attuale dei servizi pubblici per il lavoro ha prodotto in certe province (non solo del Sud) una realtà non tanto distinta da quanto visto in qualche film di Checco Zalone: le persone disoccupate nei confronti di questi uffici sono totalmente “scoraggiate” e per cambiare questa reputazione una nuova riorganizzazione che parta da Anpal è fondamentale. Tuttavia senza poteri l’Agenzia nazionale rischia di diventare un “carrozzone” totalmente inutile, dato che ogni programma di politica attiva dovrà essere ridefinito in un secondo momento da eventuali Agenzie regionali. In pratica, la situazione “schizofrenica” vedrà un carrozzone nazionale affiancato da “carrozzine” regionali con il moltiplicarsi di dirigenti e funzionari che avranno compiti quasi esclusivamente di gestione e programmazione.



Inutile dire che con questa situazione rimarrà inalterata la forte polarizzazione che porta alcune regioni del Nord (ad esempio, Lombardia e Veneto) ad avere una velocità ed efficienza nettamente diverse da quelle di alcune regioni del Sud (come la “catastrofica” situazione siciliana).

Una polarizzazione e balcanizzazione che produrranno ancora inefficienze, che in buona parte si sono viste palesare con l’attuazione di “Garanzia Giovani”, ma che soprattutto non permetteranno ancora una volta una valutazione delle performance dei servizi pubblici per l’impiego.

Ricordo che nel Regno Unito l’indicatore di collocazione nel mercato del lavoro degli utenti presi incarico vale il 70% della valutazione annuale e se il direttore territoriale non raggiunge determinate quote di collocazioni, il referente politico si aspetta (senza chiederlo) la sua lettera di dimissioni. Per l’Italia questa resta “utopia”: nonostante i pessimi risultati di Garanzia giovani (in alcune regioni e contesti il ritardo supera i 24 mesi), non c’è stata sanzione o nessun dipendente è stato licenziato. Di fronte a migliaia di giovani non posso non sottolineare che questa è una vera vergogna: senza la responsabilizzazione delle proprie azioni un sistema non sarà mai efficiente!

L’incompetenza nei servizi al lavoro si paga due volte, perché oltre al danno per il Centro per l’impiego, l’incompetenza si ripercuote anche nei confronti degli utenti che stanno cercando lavoro. 

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