Il Jobs Act, come disegnato dalla legge 148 del 2014 e dai suoi numerosi decreti delegati di attuazione, è intervenuto, principalmente, a disciplinare tre aspetti del “nuovo” mercato del lavoro, almeno per quanto attiene al quadro normativo, italiano ai tempi della “renzeconomics”, operando: un riordino delle diverse tipologie contrattuali (a partire dalla riscrittura del contratto a tempo indeterminato, ora “a tutele crescenti), una razionalizzazione delle varie misure a sostegno, e integrazione, del reddito dei lavoratori usciti dal mercato o comunque a rischio e la costruzione di un sistema di nuove “tutele” (politiche) attive per chi necessita di un aiuto per entrare e/o rientrare nel mondo del lavoro.
In questo quadro, quella di offrire agli espulsi, e agli esclusi, un aiuto per tornare a essere componente attiva della propria comunità rappresenta, certamente, la sfida più importante, e affascinante, per chi si propone di immaginare per il nostro Paese una via “italiana” alla flexicurity come l’Europa, ormai da molti (troppi) anni ci chiede.
È nata così l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, alla cui guida è stato nominato, il prof. Maurizio Del Conte, già consigliere in materia di lavoro di palazzo Chigi e, sicuramente, uno degli ideatori della grande riforma renziana.
È, tuttavia, arrivato il tempo per la nuova struttura di muovere i primi passi concreti, a partire dalla definizione delle regole di funzionamento dell’assegno di ricollocazione, il principale strumento che il Jobs Act mette a disposizione della nuova agenzia per provare a vincere la difficile partita che è chiamata a giocare.
In questo quadro rappresenta un passaggio importante la nomina, definita nei giorni scorsi, del Presidente di Anpal come Amministratore delegato anche di Italia Lavoro, l’agenzia tecnica del ministero del Lavoro, che potrà dare oggi, alla luce delle esperienze e dei progetti gestiti in questi anni, un’operatività reale al nuovo soggetto.
Serve, tuttavia, come anche la riforma del Governo Renzi auspica, che si crei una rete, un sistema, nel quale ogni attore, per quanto può e sa, deve portare il proprio contributo. Una chiamata, insomma, alle armi per scuole, università, parti sociali e, ovviamente, organizzazioni private profit e non (si pensi, ad esempio, al Terzo settore).
La grande riforma del Governo Renzi potrà dire, infatti, di aver veramente raggiunto i propri obiettivi politici non tanto rincorrendo uno zero virgola nei dati forniti da Istat, ma se riuscirà a dotare, finalmente, il Paese di un sistema efficace ed efficiente di politiche attive che siano un reale e vero supporto a chi, purtroppo, è, e sarà, per varie ragioni, espulso dal nostro mercato del lavoro.