Ma davvero qualcuno può credere che Jack Ma (Alibaba) e Sergio Marchionne (FCA) strizzano l’occhio a Trump per le paventate politiche neo-protezioniste del neo presidente? Se è così si commette un errore molto grave. Il mondo del business è una grande narrazione, un insieme di conversazioni tra attori diversi, imprenditori, manager, politici, istituzioni che si scambiano promesse e simboli cui seguiranno scambi economici e generazione di valori finanziari (o anche di goodwill politico e sociale). Nel momento nel quale discutiamo di post-verità e sistemi elettorali, ci dimentichiamo che anche l’economia e il management non sono semplici scelte di allocazione di risorse, prese a tavolino utilizzando funzioni complesse di ottimizzazione, ma costruzioni di piani che si basano su informazioni e aspettative. 



Le aspettative in particolare giocano un ruolo importante perché possono sostituire la conoscenza nel caso di informazioni incomplete. In fondo è semplice. Se conoscessimo in anticipo tutto quello che potrà accadere, qualsiasi scelta economica e manageriale sarebbe immediata. È meglio la versione A o la versione B del prodotto? Ha più senso assumere le persone a tempo determinato o indeterminato? Conviene indebitarsi o risparmiare? Poiché però non possediamo queste conoscenze, ci baseremo su delle aspettative per decidere e cercheremo di influenzare le aspettative dei decisori a nostro favore. 



Veniamo al supposto beneficio del neo-protezionismo. Non c’è dubbio che lo scenario nel quale viviamo è diventato di colpo meno comprensibile, basti guardare all’esito della Brexit o all’elezione di Trump. Certo, in un clima ideologico che ha saldato gli estremi (destre e sinistre populiste) contro la globalizzazione, il mercato e il capitalismo, di solito mescolati alla rinfusa come nella canzone del caffè della Peppina per concludere che “è tutta colpa del neo-liberismo”, non stupisce che la stampa e i commentatori “de noantri” individuino nel ripiegamento sulla protezione dei contenitori nazionali la panacea di tutti i mali. Già si sentono le sirene dei nostalgici del Novecento instupidirci dicendo che l’occupazione salirà, che le identità nazionali risolleveranno la società e che insomma saremo tutti più felici come già avevano promesso sia Carletto (Marx) e i suoi discepoli ortodossi, sia i dittatori fascisti come quello che invitò i nostri nonni a bere caffè di cicoria e mangiare surrogato di cioccolato per sostenere i destini magnifici e progressivi della patria eletta addirittura a ridicolo impero.



In realtà, gli annunci recenti sono fatti molto più semplici e a tutti gli effetti pienamente coerenti con la globalizzazione dei mercati e l’inarrestabilità dei processi economici, al contrario di quanto alcuni vogliono far credere. Da un lato, imprese e manager hanno la necessità di capire meglio cosa Trump vorrà davvero fare e un modo per farlo è incontrarlo o attirare la sua attenzione con temi che ha trattato in campagna elettorale. In questo modo, possono ridurre l’incertezza e indirizzare le loro aspettative su quello che potrà realmente accadere nell’ambito del loro business. Dall’altro, questa può essere l’occasione per rilanciare su piani diversi e con una visibilità mediatica gratuita dei progetti che avevano in cantiere da tempo o che erano falliti in passato. 

Un esempio chiarissimo di questo secondo aspetto è Alibaba che già era sbarcato negli Usa in tempi non sospetti, lanciando 11 Main nel 2014, ma dovendo precipitosamente uscire dal mercato dopo poco più di un anno e in seguito ha riprovato con il suo business Cloud, Aliyun, che ha aperto un hub nella Silicon Valley nel 2015. Alibaba ha il problema di una crescita che in Cina si è bloccata e il piano di Jack Ma è di riattivarla vendendo nella madre patria i prodotti americani grazie a vantaggi fiscali da parte del governo. In questo caso, con tutta evidenza il problema non è tanto che il neo-protezionismo attrae investimento, ma che Jack Ma spera di poter ottenere dei vantaggi da un presidente potenzialmente meno attento agli equilibri geopolitici e meno intenzionato a prendere posizione contro la politica cinese di ostacolo allo sviluppo dei player tecnologici americani in Cina. Paradossalmente, quindi, è esattamente il contrario, non è il neo-protezionismo che attrae Alibaba e porta occupazione, ma il disinteresse apparente per la difesa degli interessi economici e geopolitici di un presidente probabilmente isolazionista. 

Lo stesso vale per Marchionne. che ha semplicemente detto che si allineerà alle regole dell’amministrazione Trump (ragazzi che affermazione rilevante!?!) e annunciato un investimento che era già programmato da tempo, ma che nel mutato clima post-elezioni risulta molto efficace (tanta pubblicità a costo zero…), anche perché era già stato comunicato nel luglio del 2016 senza grandi effetti (sottolineando peraltro che l’investimento era subordinato alla concessione di una serie di incentivi statali – chissà che non c’entri con il presidente Trump…).

In conclusione, sebbene io comprenda che i miti dell’età dell’oro, della soluzione magica, della pietra filosofale, del tesoro degli Aztechi, di Roswell e compagnia rappresentano soluzioni facili e consolatorie, adesso indicare il neo-protezionismo, questo, vi prego, no, è troppo! Tanto vale tornare a parlare di stampare la propria moneta che è più divertente.