Partendo dalla situazione del sistema bancario italiano, in cui è facile prevedere ci siano molti esuberi nei prossimi anni, abbiamo concluso un precedente articolo chiedendoci se per l’uscita anticipata dal lavoro sia più conveniente l’isopensione prevista dalla Legge Fornero o l’Anticipo pensionistico. L’Ape è previsto dall’articolo 25 della Legge di bilancio 2017 come forma biennale sperimentale di anticipazione previdenziale esercitabile a 3 anni e 7 mesi dal raggiungimento dei requisiti di vecchiaia. La procedura si attiva solo con l’accordo del lavoratore. Prevede un trattamento che il lavoratore poi restituirà con la maturazione della pensione. È però prevista anche la possibilità di “incremento del montante contributivo”, che dovrebbe consentire di ripagarsi le rate che bisognerà poi versare per restituire l’Ape. In pratica, l’azienda incrementa il montante contributivo individuale maturato dal dipendente, versando all’Inps un contributo non inferiore a quello della retribuzione del lavoratore per il tempo che al dipendente manca al raggiungimento dell’età pensionabile in un’unica soluzione, in modo che alla fine l’Inps versi una pensione più alta. Il versamento va effettuato in un’unica soluzione, al momento della richiesta da parte dell’interessato. L’anticipo pensionistico è accessibile anche per dipendenti di aziende sotto i 15 dipendenti, limite minimo imposto invece dalla riforma Fornero.
E cosa prevede invece la legge del 2012? Prevede l’attivazione della cosiddetta isopensione (che potremmo definire come incentivo all’esodo quale la possibilità per chi possiede i requisiti minimi entro i quattro anni successivi all’evento aziendale di essere accompagnato dall’azienda stessa, che ne sosteneva l’onere, alla pensione godendo di un trattamento analogo). La normativa di riferimento per la pensione anticipata Fornero è l’articolo 4 della legge 92/2012, in base al quale – nell’ambito di procedure sindacali nei casi di eccedenza di personale – l’impresa può incentivare l’esodo dei dipendenti in esubero a cui mancano al massimo 4 anni al raggiungimento della pensione, pagando una prestazione pari all’assegno previdenziale pieno e versando i contributi. In realtà, il trattamento viene corrisposto dall’Inps, in seguito a fideiussione bancaria stipulata dall’impresa.
Rispetto alla Riforma Fornero, dal punto di vista anagrafico, l’Ape si rivolge a una platea meno ampia, considerando tra l’altro che i 4 anni dalla pensione valgono anche per il trattamento di anzianità, contro 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia dell’Ape. Quest’ultima pone inoltre limiti di reddito non previsti dal trattamento Fornero: il lavoratore deve maturare come pensione un assegno minimo non inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo. Ha però il vantaggio di essere accessibile ai dipendenti delle aziende con meno di 15 dipendenti, mentre la pensione anticipata della legge 92/2012 riguarda solo aziende sopra questa soglia ed è esercitabile soltanto nell’ambito di un piano di esuberi, con specifica procedura sindacale.
Per quanto riguarda il trattamento, la pensione anticipata Fornero è più vantaggiosa: 13 mensilità annue (contro le 12 dell’Ape), rapportato alla pensione maturata. Anche l’Ape è rapportato alla pensione maturata, ma l’entità dell’assegno dipende dalla scelta del lavoratore su quanta parte farsi corrispondere in anticipo. La pensione da esodo non prevede nessuna necessità di restituzione a rate della somma, mentre l’Ape prevede 20 anni di rate (con l’integrazione del montante contributivo i versamenti contributivi delle imprese dovrebbero comunque compensare il trattamento ricevuto). In entrambi i casi, l’impresa versa i contributi anche nel periodo in cui il lavoratore percepisce l’assegno che lo accompagna alla pensione, ma la pensione vera e propria sarà più alta per chi sceglie l’esodo Fornero, maturando un trattamento pieno, mentre nel caso dell’Ape dall’assegno bisogna togliere le rate ventennali.
In conclusione, dal punto di vista economico è più conveniente l’esodo pensionistico, che però si rivolge a una platea più ristretta (soprattutto perché non riguarda le imprese sotto i 15 dipendenti), mentre all’impresa costa meno l’Ape. Le differenze non sono solo formali, ma hanno un peso nelle scelte da adottare, soprattutto se queste discendono da un confronto prima e da una firma dopo un protocollo tra aziende e sindacati. Non è superfluo sottolineare che la via migliore nel gestire “un pezzetto di vita altrui” resta sempre quella che garantisce, alla luce della clausola di maggior favore, la libertà di scelta degli interessati.
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