Chissà perché il numero 10 ha tanta forza attrattiva, tanto carismatico magnetismo. Dieci, infatti, furono i Comandamenti e dieci le Beatitudini. Dieci i piccoli indiani di Agatha Christie. Dieci le leggendarie tribù “perdute” di Israele e dieci furono anche le tribù ateniesi. Insomma, dici dieci e pensi al tutto, alla completezza.
Sarà per analogia, sarà per ricordo mnemonico, per rievocazione di qualche immagine mitologica o biblica, ma anche la Cisl ha creato un decalogo. Intendiamoci, essendo un’associazione laica, totalmente laica, il sindacato di Annamaria Furlan non ha inciso il tutto su due pietre consegnate da un angelo in una colonna di fuoco, né ha radunato un popolo intero sulla collina di Tagba. Più modernamente (e modestamente) ha organizzato un Convegno a Roma (toh, a proposito, proprio ai Decemviri fu affidato il compito di pubblicare le dodici tavole della Legge!), sul tema Persona e Lavoro nel quale ha presentato le sue 10, appunto, proposte per creare lavoro. Perché in questa bailamme, tra appassionanti discussioni sul proporzionale puro (e quale sarà mai il proporzionale impuro? Quale peccato inconfessabile avrà mai commesso questo povero sistema di voto per essere dannato?), e surreali dialoghi sul proporzionale maggioritario, o sul maggioritario catartico (no, almeno questo non esiste ma lanciamo la proposta di inventarlo: così per variare il dibattito), politici e intellettuali si sono come dimenticati che la vera priorità, quel che sta a cuore agli italiani è creare lavoro.
Non però creandolo per legge, come si faceva ai tempi della Buonanima quando i disoccupati erano divisi in due squadre, una che scavava un buco e l’altra che lo copriva, o come ai tempi dei mitici kolkhoz. No, lavoro vero, quello che si genera solo, come ha detto Gigi Petteni, segretario confederale Cisl e motore primo aristotelico dell’iniziativa e del documento, riorientando le politiche economiche e attuando quel che già esiste in tema di politiche del lavoro.
C’è infatti a oggi una discrasia incolmabile tra la velocità dei mutamenti tecnologici e le competenze sempre più specifiche che esse richiedono. Ma soprattutto c’è quel divario, al quale guardiamo invero con un occhio spento, tra questa rivoluzione che rende obsoleto tutto nel giro di cinque anni, e un’organizzazione del lavoro meno gerarchica e più cooperativa che sola potrà garantire, a detta di Giorgio Vittadini, una sintesi tra più lavoro e miglior lavoro. Sempre più competenze trasversali sono necessarie, insomma, insieme a una formazione continua se si vuol davvero tutelare l’occupabilità, e non la sola singola occupazione, del lavoratore.
La Cisl quindi ha impostato il suo anno congressuale, il 2017, sulla sfida del lavoro: e poi con sano realismo, come evidenziato nel convegno, non si parte da zero (ma forse nemmeno da dieci…), perché esistono già provvedimenti come i bonus occupazionali per il lavoro stabile che per il 2017 sono concentrati sui giovani, o l’adozione definitiva dell’apprendistato duale e dell’alternanza scuola-lavoro. Sussistono, ma, come sovente capita da noi, sono riforme perfette solo sulla carta: forse perché temendo appunto di rovinarne la compiutezza, la nostra acuta e agile burocrazia si guarda bene dal metterle in atto. Pensiamo, così, alla seconda gamba del Jobs Act, a quelle politiche attive che dovrebbero consentire di non lasciare solo chi perde il lavoro e chi cerca il primo impiego: se vi avessimo dedicato un decimo (arrieccolo il numero magico!) del tempo sprecato con l’articolo 18, forse avremmo qualche disoccupato in meno e qualche lavoratore in più!
Tutto ciò è buono ed è bene, direbbe Padre Brown, gran maestro di cattolico realismo, ma le proposte concrete dove sono? Eccole, ve le somministriamo come le hanno elencate i relatori.
1) Sostenere dal punto di vista contributivo e fiscale le imprese e le filiere che creano lavoro di qualità in settori con elevate prospettive occupazionali (ambiente, servizi alla persona).
2) Puntare sulla formazione continua di chi ha un impiego usando meglio e di più i Fondi Interprofessionali, anche con la detassazione per le imprese che investono in formazione.
3) L’apprendistato duale come via per ogni lavoratore per concludere un ciclo di studi e raggiungere una qualificazione. Serve anzitutto alle Pmi, creando sul territorio reti a maglie più fitte con le università e le scuole tecnico-professionali. Anche qui un ruolo decisivo lo giocheranno, come tutor e facilitatori, gli enti bilaterali e i fondi interprofessionali.
4) L’alternanza scuola-lavoro è l’anello decisivo per migliorare orientamento scolastico efficace e occupabilità dei giovani che studiano.
5) Duro contrasto all’abbandono scolastico e universitario definendo percorsi di recupero che portino il 20% dei giovani che abbandonano la scuola superiore.
6) Interventi sui tirocini extracurriculari, spesso per i nostri giovani il primo contatto con il mondo del lavoro, e sovente sottopagato: vanno riformati con convenzioni tra imprese e scuole elevandone i contenuti formativi ed esperienziali, e insieme prevedendo un “certificato di qualità” per le imprese che li usano correttamente
7) Via alla sperimentazione dell’Assegno di ricollocazione per i primi 30/40mila percettori di Naspi, per poi estendere nel corso dell’anno lo strumento a tutti i disoccupati che lo chiedano.
8) Via alla fase 2 di Garanzia Giovani che finalizzi meglio gli obiettivi di avvicinamento alla occupabilità.
9) Contrasto al falso lavoro autonomo e invece vero e pieno sostegno al lavoro autonomo rafforzando le tutele per i collaboratori, anche a partita Iva, iscritti alla Gestione separata Inps.
10) Infine riforma dei voucher che però non vanno abrogati, ma circoscritti alle attività realmente occasionali, le quali andrebbero individuate anche attraverso la contrattazione collettiva.
Un decalogo, appunto. Una sfida, come tutti i decaloghi. Ora la parola passa al lavoro quotidiano di politici, professionisti, sindacalisti, imprenditori: quel lavoro quotidiano che fa la differenza tra dieci desideri e dieci progetti realizzati.