“Bisogna che si realizzi un grande patto sociale con le organizzazioni dei lavoratori, con le organizzazioni datoriali e con chi governa tutti livelli dalle città alla regione. I problemi sono tanti e sono tali che nessuno ce la può fare da solo, bisogna fare tutti insieme”. Così la leader della Cisl Annamaria Furlan, ieri a Palermo, parlando della sicurezza sul lavoro, dopo la giornata di lunedì funestata da tre incidenti mortali.
Il tema di una nuova alleanza per il lavoro – e per il Paese – è il tema che politica e forze sociali da troppo tempo eludono. L’economia resta in questo momento la priorità, ma in parlamento si sciopera per i diritti civili. Negli anni della grande crisi, le misure che i governi hanno attuato sono state marginali se non addirittura gravose per imprese e famiglie. Il sostegno più efficace per impresa e lavoro ancora una volta è arrivato dalla contrattazione, in particolare da quella aziendale, che ha permesso a molte imprese di ristrutturarsi seriamente e di ritrovare l’orizzonte perduto grazie, anche, ai sacrifici di molti lavoratori. Un plauso, quindi, alla fatica di chi lavora e di chi è ancora capace di rappresentare il lavoro con serietà e lungimiranza.
Furlan ha ragione nell’affermare – si veda sua recente intervista al Corriere della Sera – come, rispetto ai partiti, i sindacati hanno retto all’urto della crisi della rappresentanza. Di questo, abbiamo scritto ampiamente su queste pagine; è utile ricordare che negli ultimi trenta anni, infatti, la quota di lavoratori iscritti al sindacato è in media diminuita di un terzo nei paesi Ocse (dal 30% nel 1985 al 17% nel 2013); in Italia, invece, è scesa solo di pochi punti percentuali, dal 42% al 37%. Va detto che l’Inps, tuttavia, nella sua ultima relazione annuale – secondo i dati per le grandi imprese – afferma che i tassi di sindacalizzazione in Italia potrebbero essere più bassi, attorno al 25%. Siamo comunque sopra la media.
Tuttavia, come ha scritto Pierre Carniti in una lettera aperta a Cisl, Cgil e Uil, varrebbe la pena di interrogarsi “sulle difficoltà che hanno progressivamente indebolito ed indeboliscono il consenso su cui può contare il sindacato”. Questo permetterebbe di capire come ridarsi una prospettiva. Ne abbiamo scritto più volte e, al di là della necessità di uscire dall’autoreferenzialità e di dare certezza alla contrattazione – serve una legge sulla rappresentanza, ma devono essere le parti a spingere il decisore politico a legiferare in materia -, il sindacato deve guardare alle nuove generazioni. I giovani contano più o meno il 10% tra gli iscritti, parliamo del resto della categoria meno inclusa e più precarizzata nel mercato del lavoro. Serve quindi munirsi di un’organizzazione capace, anche, di rappresentare quelle forme di lavoro che, oltre a essere beffate dal mercato, lo sono anche sul piano del welfare.
Ecco, una nuova alleanza non può che fondarsi sulle nuove generazioni. Anche perché solo questo vorrebbe dire guardare al futuro.
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