Questa settimana, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ha diffuso dati molto interessanti circa il lavoro sommerso – più comunemente conosciuto come “nero”. Naturalmente, il sommerso comprende anche le attività illegali. Scopriamo così che questo “asset”, tanto strategico per il nostro Paese, vale 208 miliardi di euro, il 12,6% del Pil (il dato si riferisce al 2015). La cosa che ci interessa qui non è tanto la diminuzione di questo sommerso – 0,5 punti percentuali in meno rispetto all’anno precedente, quando valeva il 13,1% del Prodotto interno lordo e sfiorava i 213 miliardi -, quanto il rapporto che il sommerso ha con l’occupazione.
Scopriamo, quindi, che i lavoratori in nero sono in aumento: nel 2015 le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 724 mila, soprattutto dipendenti (2 milioni 651 mila) e in crescita sull’anno precedente di 57 mila unità. Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari sul totale, è pari al 15,9% (+0,2 punti rispetto al 2014) e tocca il 47,6% nei servizi alla persona. Risulta inoltre “molto significativo” – ci dice sempre Istat – in agricoltura (17,9%), nelle costruzioni (16,9%) e nei settori commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,7%).
Come si evince, i numeri del lavoro nero sono altissimi, quasi 4 milioni di persone sono occupate e non risultano tali. Ora: probabilmente non si tratta di lavoratori che guadagnano cifre enormi, sta di fatto che il lavoro nero è per definizione irregolare – e livelli simili non si addicono a un’economia avanzata – e che, a questo punto, ci piacerebbe capire quale rapporto esiste tra 4 milioni di lavoratori in nero e i livelli occupazionali.
Istat, sappiamo tutti, fa rilevazioni periodiche (mensili) sull’occupazione e sulla disoccupazione, ma quanto vale realmente la non occupazione – che è disoccupazione ma anche inattività – se 4 milioni di lavoratori sono occupati e non risultano tali?
Nel nostro Paese la disoccupazione è più o meno all’11% e quella giovanile al 35%; i numeri del lavoro nero pesano in modo particolare sul 35% di disoccupazione giovanile. Se sappiamo che 4 milioni di persone lavorano in nero, perché si continua a conteggiarle tra i disoccupati? È evidente che non va tutto bene e che il lavoro in Italia deve crescere, ma perché alimentare la retorica del non lavoro?
Se i livelli occupazionali diffusi da Istat fossero realistici, in particolare al sud – dove la disoccupazione è oltre il 20% e quella giovanile sopra il 50% – avremmo oggi una nuova “rivolta del pane”, come quella celebre che ha raccontato Alessandro Manzoni. Ciò non significa legittimare il nero, semplicemente dare i nomi giusti alle cose.
Twitter: @sabella_thinkin