Mi ricordo che una volta qualcuno mi disse che era tutto così chiaro. Nel Bel Paese, nel giardino d’Europa si fronteggiano quattro fronti: 1) quello degli irreversibili che per le posizioni consolidate sono attestati a fare come il nobile Gattopardo; 2) il fronte degli inamovibili che avendo lasciato già traccia di sé cercano sempre e comunque di mantenerla viva; 3) quello degli innovatori che vogliono lasciare dietro di sé un Paese migliore di quello che hanno trovato e che a loro volta si dividono in giudiziosi e in intemperanti; 4) il fronte dei confusionari che coltivano qualità prese un po’ di qua e un po’ di là e che si potrebbero trovare a fasi alterne nell’uno o nell’altro gruppo con il rischio di assomigliare a disinformatori, quando addirittura a sabotatori.
Bell’analisi: ha dei punti di forza e a volte – messo da parte il mistero dell’insondabile profondità dell’animo umano e dei comportamenti derivanti – anche la stessa brillantezza di un diaframma fotografico che inquadra un campo socio-politico. Ma politicamente serve? Forse durante quei periodi come la Rivoluzione francese quando decidere dove mettere l’uno o l’altro sotto giudizio significava segnarne il destino. Nel campo del lavoro e del welfare non serve.
Serve a comprendere caso mai quale fauna politica, affaristica, accademica, imprenditoriale si aggiri in mezzo a una foresta, più che a un giardino, di problemi di cui tutti costoro per ruolo funzione, passione o vocazione dovrebbero farsi carico. Altrimenti resta la foresta, resta l’ecosistema finora vigente perché o si trova il progetto risolutivo e l’architetto adeguato per trasformare veramente quella foresta in giardino, oppure esponenti di tutti e quattro i fronti continueranno ad aggirarsi muovendo, mantenendo spostando, creando, distruggendo in saliscendi di equilibri e squilibri senza avere la visione dell’orizzonte cui tendere.
Un esempio? Andiamo a passeggiare nel viale del Jobs Act 1 e 2 e mi si venga a dire che il percorso è in itinere quando si creano due Agenzie nazionali. La prima per le politiche del lavoro attivo e la seconda per l’occupazione. Nel suo interessante articolo giusto un estensore come Bonardo pone la domanda di chi farà cosa e come lo farà. Ci sono innovatori giudiziosi come Maurizio Del Conte dell’Agenzia nazionale per le politiche attive con cui mi confrontai al Lingotto, presente Marco Leonardi, ma ci saranno pure per la nuova creatura, l’Agenzia nazionale per l’occupazione?
Ma perché due? Il lavoro non è forse uno in tutte le sue declinazioni e in alcune di tali declinazioni non si salda con l’istruzione, la formazione, l’assistenza e la previdenza? Si vuole forse pensare che un carro trainato produca migliori risultati se viene diviso in due e si passa dall’auriga a due dioscuri? Possibile che nessuno avendo memoria di come questo Bel Paese ami dividersi, moltiplicarsi, stratificarsi riflettendo su tali fenomeni e sulla conseguente produzione normativa per gestire la quale pro quota appaiono oscillanti transfughi tra il primo e il quarto fronte personaggi alla Boeri, metta su strada le probabili soluzioni?
E a questo proposito mi si permetta di chiedere al presidente dell’Inps che prima di procedere a ulteriori esternazioni, e in attesa che si faccia parte pensante e progettualmente attiva per la divisione tra assistenza e previdenza (ma lo farà mai?), pensi al concreto con i suoi nuovi dirigenti. Un esempio anche qui significativo: docenti in pensione senza pensione per il tardivo accorgersi della gestione dei loro dati su banche diverse gestite in modo “dis-integrato” tra Mef, Miur e Inps.
Possibile che Renzi e la bella squadra le cui risorse attinte anche alla Bocconi e dintorni, una volta condivisa la flexisecurity e il structural working proposto già da anni vogliano giocarsi in negativo il punto con mani così poco capaci, voltati i visi altrove, senza il richiamo almeno dovuto per il legame che discende dalle nomine e dalle cooptazioni compiute?
La criticità è sempre la stessa: la salvaguardia dei propri territori e l’attenzione solo sugli alberi contribuisce (facendo buon pensare meno malizioso) a non avere la visione della foresta, a comprenderla fino in fondo e a perdersi nello sforzo forse di cambiare l’ecosistema del lavoro e del welfare producendo solo risultati forse ragguardevoli, ma portati a venir meno col tempo che passa.,, poiché il rischio è che non si riesca a vedere bene all’orizzonte e a calcolare distanza.
Ben ha fatto Giuseppe Sabella nel suo intervento a citare il pensiero e lo statement di Mario Draghi con il quale ebbi positivo confronto quand’era in Bankitalia portando avanti quella riflessione apparsa su queste pagine…
Chi vuole vivere di rimessa e vuole che lo facciano i propri figli e tutti i giovani di questo Paese? Penso nessuno. Dove sono quelle norme e quei comportamenti concreti che fanno un sistema Paese e che certo non possono essere glamour stagionale di un governo o di un suo ministro come Calenda o Padoan? Spesso guardiamo all’estero alla ricerca di esempi per parametrarci oltralpe trovando Macron per accontentarci di un Micron nostrano come Di Maio.
L’orizzonte lo sappiamo, lo vediamo, lo sentiamo talvolta scorrere sulla pelle. Ancora una volta, ancora con un altro statement a Trento venne commemorato De Gasperi. Paradossalmente come dice un fisico quantistico russo nel suo “Avanti nel passato”, questo è, l’orizzonte. E tanto meno nessuno, soprattutto se portatovi, anche inconsapevolmente, vuole che questo orizzonte sia un “orizzonte degli eventi” del debito, della demografia, della previdenza, del lavoro, insieme ad altri convergenti che delimiti la cresta di un buco nero prossimo futuro.