“Il sindacato si autoriformi o ci penseremo noi”. Più o meno con queste parole, il neo candidato premier a cinque stelle, Luigi Di Maio, si è espresso attaccando la rappresentanza del lavoro, cosa che trova terreno fertile all’interno della base del suo movimento. Sin dall’inizio, infatti, bersagli privilegiati del M5S sono stati i partiti tradizionali e i sindacati. A parte il fatto che non si ricorda un discorso che abbia un senso sulla rappresentanza in senso ampio – c’è anche quella dell’impresa che non se la passa tanto meglio caro Di Maio -, questo “ci penseremo noi” suona davvero molto male. Sì, perché, in primo luogo, le organizzazioni di rappresentanza del lavoro come dell’impresa sono libere associazioni, espressione di imprenditori e lavoratori che liberamente (non è obbligatorio associarsi) affermano i loro sacrosanti diritti e interessi; in secundis, al di là della farraginosità che contraddistingue ancora le parti sociali, è proprio sul piano della contrattazione che si sono viste le risposte più interessanti per l’economia in questi anni di crisi. Chiaro che una riforma dell’azione sindacale va molto auspicata – non di meno della politica tuttavia -, ma pensare che questa possa essere calata dall’alto ci pare una grossa e pericolosa ingenuità.
Le democrazie moderne, cosi come le conosciamo oggi, originano dalla rivoluzione francese. Uno dei principi fondamentali che segna appunto l’inizio dell’età contemporanea è questo di rousseauiana memoria: “lo stato esprime il popolo e il popolo è nello stato”; il Destino ha però voluto che sia stato proprio un francese – il grande politologo e sociologo Alexis De Tocqueville – a scolpire la fondamentale distinzione tra stato e società civile; e ad affermare così l’importanza delle forze sociali. Nel suo viaggio negli Usa – raccontato nei due volumi de “La democrazia in America” – Tocqueville si accorse di come l’ossatura sociale e istituzionale funzionava grazie, proprio, ai corpi intermedi. Questo non solo per la partecipazione che questi hanno sempre registrato, ma anche per la trasparenza con cui sono stati regolamentati: negli Usa c’è il Registro delle lobbies di cui da tanti anni si parla in Europa e che molti stati, tra cui l’Italia, non vogliono: in questo modo, le rappresentanze sono riconosciute e valgono in funzione del loro peso, degli iscritti che hanno.
Sul punto abbiamo più volte scritto su queste pagine, la disintermediazione del lavoro è infatti da sempre un cavallo di battaglia dei cinque stelle. In sintesi, la conclamata democrazia diretta consisterebbe nel contatto non mediato, attraverso il web, tra il Parlamento e i cittadini-elettori. Bisogna fare una legge sull’agricoltura? Chi meglio di un agricoltore – dicono Grillo e amici – sa di cosa stiamo parlando e come si può legiferare? Al di là del fatto che, nella fattispecie, non tutti gli agricoltori possono avere così chiaro quali siano i propri bisogni, non è nemmeno detto che le esigenze di ciascun agricoltore coincidano. Questo è il compito di mediazione che, nelle economie avanzate, viene assolto dai corpi intermedi ed è ciò che le rappresentanze in generale – al di là della loro innegabile e preoccupante crisi – svolgono come funzione e contributo fondamentale per la democrazia. Ciò è scolpito non solo dai più autorevoli studiosi e politologi della storia, ma dalla storia stessa. La democrazia diretta, semplicemente, non esiste: ciò che il M5S chiama in quel modo è l’anticamera di un regime autoritario.
Detto questo, per un migliore funzionamento delle organizzazioni sindacali, Di Maio e amici vogliono proporre delle idee interessanti? Sostengano chi spinge per una legge sulla rappresentanza – che semplicemente recepisca il Testo Unico del 2014 – e, da paladini della trasparenza quali si ritengono, accolgano l’idea europea di registrare le lobbies anche da noi, proprio come fanno in America. Ma si rilegga Tocqueville, e in particolare quella pagina in cui è scolpita questa grande massima della scienza politica: “nulla vi è che la natura umana disperi di raggiungere con l’azione libera del potere collettivo degli individui”. Anche il suo movimento è espressione di questo potere collettivo. Impari a rispettare chi, sulla base di principi diversi, si organizza proprio come hanno fatto loro. Allora potrà parlare di democrazia.
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