Gli ITS, scuole di alta specializzazione post diploma, sono a un momento di svolta. Costituiti nel 2008 e operanti dal 2010 in tutta Italia, costituiscono il segmento del terziario professionalizzante. A oggi in Italia le Fondazioni di partecipazione sulle quali si basa il sistema ITS sono 93 e i corsi erogati sono 303 con un numero di partecipanti attorno agli 7.287 studenti (dati Indire ottobre 2017).



I numeri sono certo di nicchia se si pensa a un sistema industriale che richiede 80/100 mila tecnici da inserire nelle produzioni manifatturiere. Lo stesso paragone con le parallele fachhochschulen tedesche, che ogni anno sfornano 800.000 tecnici, fa rabbrividire. Nondimeno in soli sei anni di attività queste scuole, partite dal nulla, con pochissimi mezzi e strutture snelle, sono riuscite a organizzare un sistema formativo misto scuola-azienda molto apprezzato dal mondo produttivo e con livelli occupazionali in media dell’80%, ma con punte oltre il 90% per i settori legati alla meccatronica e alle interazioni di “Industria 4.0”.



Lo spunto per parlare di ITS viene leggendo gli articoli di stampa pubblicati in questi giorni relativi agli stanziamenti presenti nella Legge di bilancio approvata dal Governo. A fronte di un sempre crescente interesse per la tipologia di formazione erogata e del consenso generale del mondo industriale, il ridottissimo stanziamento nazionale di complessivi 13 milioni di euro per il finanziamento di tutte le attività delle fondazioni sembra non avere possibilità di essere incrementato.

D’altra parte necessità di tecnici superiori qualificati e dotati di competenze avanzate è ben espressa dal piano “Industria 4.0” che cita in modo esplicito gli ITS come uno dei centri strategici per lo sviluppo di competenze avanzate in campo tecnologico. Vero è che le attività degli ITS sono finanziate per parte pubblica tramite un sistema misto Stato-Regioni e che alcune regioni, come Lombardia e Veneto, hanno messo in campo risorse che hanno di gran lunga superato il finanziamento nazionale, ma appare evidente che se, come dichiarato più volte da esponenti governativi, si vorrà arrivare in breve tempo al raddoppio dei tecnici diplomati, gli interventi strutturali e di finanziamento dovranno essere rapidi e consistenti.



Il conto è presto fatto: considerando che un corso ITS coinvolge circa 25 studenti e che il costo di un biennio di formazione per ogni corso si aggira attorno ai 200.000 euro, per avere 15.000 diplomati all’anno con continuità dovrà essere previsto complessivamente uno stanziamento di 120 milioni di euro. Anche considerando un intervento dei soci privati (aziende, associazioni datoriali ed altri enti) che ipoteticamente potesse raggiungere un quarto del finanziamento complessivo, si arriverebbe a una cifra ben lontana da quanto attualmente messo in bilancio da Stato e Regioni.

Quanto agli interventi strutturali, la prima cosa alla quale pensare è senza dubbio una programmazione pluriennale. Attualmente le Fondazioni per accedere ai finanziamenti e quindi organizzare i corsi devono rispondere annualmente a bandi regionali, spesso molto diversi da regione a regione, che mettono a disposizione i finanziamenti statali e regionali. Quindi ogni anno, e con tempistiche strettissime (normalmente i bandi vengono aperti nella tarda primavera e i progetti approvati a fine giugno), ogni ITS riceve le autorizzazioni all’effettuazione dei corsi che partiranno nell’autunno. I tempi limitati e l’incertezza sull’approvazione dei corsi frenano l’operatività e danno all’esterno un’idea di precarietà che spinge spesso ragazzi e famiglie a dubitare della qualità dell’offerta.

Un altro campo sul quale da tempo sono in corso profonde riflessioni, che però non hanno ancora portato a interventi strutturali, è quello dell’orientamento dei giovani alla formazione terziaria professionalizzante degli ITS. Resta difficile da comprendere come sia possibile che una formazione di alto livello, che garantisce occupabilità e ottimi livelli retributivi resti come “seconda opzione” nelle scelte dei giovani diplomati e che nel nostro Paese comunque restino elevatissimi i livelli di disoccupazione giovanile. Certo il problema è principalmente culturale: paradossalmente dalle famiglie sembra sia più considerato un laureato disoccupato che un tecnico superiore non laureato ma occupato a buon livello. Se però si vuole spingere verso una formazione più “produttiva” dovranno essere compiuti sforzi notevoli di comunicazione in sede nazionale.

Oltre a questo, si dovrà pensare al rafforzamento delle strutture sia organizzative che materiali delle fondazioni ITS, che attualmente si appoggiano, soprattutto per laboratori e strutture didattiche, ad enti soci. Maggiori investimenti pubblici potranno incrementare la credibilità del sistema ITS, anche rispetto alle aziende che saranno più disponibili a finanziamenti mirati. Altri interventi dovranno riguardare interazioni con i contratti lavorativi per i giovani (apprendistato, sgravi fiscali per chi assume diplomati ITS, ecc.) e altre forme promozione degli investimenti delle aziende nel sistema ITS.

In conclusione quindi il futuro del sistema ITS passa necessariamente attraverso una maggior considerazione da parte dei decisori politici, che non dovrà limitarsi alle parole, ma dovrà comprendere interventi normativi e investimenti senza i quali gli ITS non potranno rispondere, se non in modo molto limitato, alle richieste del mondo produttivo. La speranza è che le dichiarazioni rilasciate in queste ore da responsabili di Governo circa la possibilità di riprendere l’argomento in sede di dibattito parlamentare sulla Legge di bilancio e di riuscire ad aumentare in modo rilevante lo stanziamento previsto trovino compimento e si riesca ad avviare un percorso virtuoso di sviluppo di questo importante segmento formativo.