Arriva l’autunno, cadono le foglie, il clima cambia. No per la verità il clima non cambia, ma è comunque un dato di fatto che l’autunno, almeno quello astronomico, è arrivato. E si sa che l’autunno porta con sé alcuni fenomeni che gli sono connaturati: la protesta degli studenti, l’aumento dei prezzi, e la manovra finanziaria con il suo codazzo di comportamenti e di dichiarazioni. Di norma si parlava di autunno caldo, ma, appunto, visto il clima, anche questa frase rischia di sembrare un po’ fuori moda.
Anche perché si direbbe che non ci sono più i sindacati di una volta, quelli che mettevano le tute blu e sfilavano a giorni alterni contro il Governo e per il pane. No, di fronte a una manovra che parrebbe lasciare aperti ancora molti temi, le tre grandi confederazioni hanno reagito minacciando, velatamente, una qualche reazione di cui però si discuterà a novembre.
Tutto parrebbe dire che Gentiloni, con il suo fare vagamente forlaniano, ha finito per addomesticare anche la più feroce delle Camusso. Sembrerebbe, ma davvero è così? Davvero solo i muscoli funzionano nelle relazioni sindacali con il Governo? Davvero la tela della maggioranza ha imborghesito Cgil, Cisl e Uil mettendole fuori gioco? In realtà se uno guarda con un po’ di attenzione, in questa manovra ci sono capitoli molto importanti per il sindacato, dalla svolta sul contratto pubblico a un consistente blocco di interventi sul tema del lavoro.
Bisogna però capirsi: perché tanti di coloro che oggi gridano al sindacato tacente e silente sono anche gli stessi che domani griderebbero al sindacato fuori dal tempo e fuori dal mondo moderno se decidesse di manifestare o, Dio non voglia, perfino di scioperare! Escludiamo quindi gli anti-sindacalisti in servizio permanente effettivo, ma escludiamo anche i politici alla D’Alema, quelli che sono alternativamente a destra, al centro o a sinistra a seconda delle stagioni. E che da quando le stagioni non sono più quelle di una volta, le mezze stagioni sono sparite e il tempo è impazzito, non sanno più che difendere il lavoro a tempo indeterminato non è né di destra, né di centro, né di sinistra, ma semplicemente, come avrebbe detto Gaber, è una cosa intelligente!
Questa manovra in effetti sembra dettata soprattutto dall’equilibrio: dentro ci sono le grandi crisi che vanno affrontate, c’è il tema della povertà, c’è la delicata questione della fase 2 della riforma della previdenza, con il delicatissimo passaggio (forse perfino troppo caricato politicamente), relativo all’aspettativa di vita e quindi all’uscita in pensione di tantissimi lavoratori. È chiaro che di fronte a questi temi l’azione del sindacato, pur in una stagione molto delicata e complessa, doveva confrontarsi con l’eterno problema della mancanza di soldi e quindi con la necessità di scegliere dove mettere quel che si ha in tasca e cosa finanziare.
Dalla agenda inscritta nella Legge di bilancio davvero non si può dire che Gentiloni abbia tagliato fuori il sindacato: anzi, proprio il fatto che ci sia una agenda di questo tipo è il sintomo che il sindacato ha agito più di quello che appare. Non sol,o ma i segnali fino a oggi ci dicono che questi problemi sono stati impostati, mentre resta ancora aperta il fatto di come chiudere questi passaggi. Certo perché ci sono i problemi, ci sono ancora alcuni scogli, ma ormai la strategia è stata costruita e la pressione, apparentemente lieve, esercitata nei giorni scorsi per mezzo di presidi sindacali per il problema del Contratto del Pubblico Impiego, comunque pare aver avuto una certa qual efficacia. Se poi dall’incontro con Gentiloni non uscissero risposte adeguate, allora forse si parlerebbe di possibili mobilitazioni.
Il dato di fatto è, comunque, che da parte del Governo per il sindacato, almeno quello che non fa politica, non c’è porta chiusa, tanto è vero che fino a lunedì mattina, pochi minuti prima dell’incontro con i ministri, in via Veneto era aperto un tavolo di confronto. Poi nel tirare le conclusioni, come sempre, si colgono, trasparenti come fette di salame, le differenze tra le organizzazioni: chi sta dando impostazione sindacale e chi invece ha ancora confini “porosi” all’influenza della politica.
Sul lavoro, ad esempio, la Legge di bilancio contiene parecchi temi “cislini”: portare il limite dei giovani a 35 anni non compiuti (dai 29 che erano), significa guardare a quelli che sono usciti dall’università negli anni più duri della crisi. Detassare la formazione, poi, è un provvedimento che Annamaria Furlan chiede a gran voce fin dal Meeting di Rimini dell’anno scorso. Sono argomenti, insomma, su cui si sta lavorando da mesi. D’altronde se il Governo convocasse il sindacato per dirgli di scegliere di spostare nella Legge di bilancio due miliardi dalla povertà alla previdenza come risponderebbero le tre organizzazioni?
È un dato di fatto che la Cisl si intitola i provvedimenti in favore dei più disagiati e dei più poveri: chi oggi prenderà i soldi, dice un segretario nazionale, non parla nelle assemblee, ma sono quegli stessi ultimi cui noi guardiamo con attenzione e molti dei quali rappresentiamo in quanto nostri iscritti. Per quel che concerne poi i 14 miliardi della clausola di salvaguardia sull’Iva sono o non sono una priorità per il sindacato ? “Perché – afferma Gigi Petteni – significa o no far ripartire il mercato interno e sbloccare i consumi, e essi rappresentano o no fattore decisivo per molte aziende nostrane?”.
Giovani e politiche attive per i lavoratori i sindacati avevano d’altra parte chiesto a giugno al Governo, e questo hanno ottenuto. D’altronde stimolando forme di assunzioni si rilancia il lavoro. Certo la Cgil alza il tono: non le piace la decontribuzione, non le piace l’Ape Social, ma il sindacato di Susanna Camusso comunque deve abbozzare, perché sa benissimo che queste sono le strade, sia pure di marca cislina, da cui passa l’idea che tutti i lavori non sono uguali, e quindi lo strumento attraverso cui si sta costruendo un’uscita diversificata dal tempo del lavoro. Non piace neppure l’alternanza scuola-lavoro: ma lì ci sono sgravi per quelle imprese che assumono i ragazzi che hanno formato e sono dunque altri posti di lavoro. Anche su questo Gigi Petteni è stato netto: “Sono provvedimenti determinanti che stanno dentro una visione della Cisl. Per noi è finita la vecchia sequenza che caratterizzava la vita di ogni persona, quella in base alla quale a un tempo in cui si studiava seguivano i tempi del lavoro e infine la quiescenza, la pensione. Da qui in avanti mentre si studierà si lavorerà anche, mentre si lavorerà non si smetterà di studiare e quando si andrà in pensione, in età diverse a seconda dei lavori, dei versamenti, delle condizioni di vita, si potrà ancora un po’, con minore intensità, studiare”.
Non solo, ma dentro la Legge di bilancio ci sono anche le pressioni cisline sull’alternanza scuola-lavoro: non tutte le realtà sono uguali e non dappertutto funzionano ugualmente, ma come spesso succede in Italia fatta la legge si tratta di mettere in pratica quel che si decide. Anche perché c’è un’intera generazione che l’alternanza scuola lavoro la conosce bene per averla fatta: sono coloro che tra gli anni ‘60 e ‘70 hanno nello stesso tempo lavorato e studiato, quelli delle 150 ore e dei diplomi serali. Loro sono anche buona parte della classe dirigente italiana attuale: imprenditori, artigiani, politici, professori.
Insomma, per concludere, è evidente che “solo il 7% dei lavoratori faccia formazione mentre lavora è un dato inaccettabile”: per risolvere tale questione, però, non servono scioperi, ma buone prassi e lente riforme. Per la rivoluzione ripassare più avanti.