A ogni appuntamento con i dati sull’occupazione resi noti dall’Istat i media continuano a suonare il piffero delle fake news. Così l’opinione pubblica è convinta che il mercato del lavoro italiano sia in balia del precariato. Del resto, che cosa aspettarsi d’altro quando persino l’Inps ha intitolato “Osservatorio sul precariato” la pubblicazione che raccoglie periodicamente le sue statistiche sull’occupazione? Ma l’aspetto più paradossale è ancora un altro: per rimettere le cose a posto basterebbe che i nostri concittadini si guardassero attorno per capire che la realtà – per quanto difficile – non è quella che viene descritta. Eppure finiscono per prestare più fiducia ai luoghi comuni che alla propria esperienza quotidiana. Sforziamoci, allora, di prendere in considerazione l’oggettività dei numeri.
In Italia, ad agosto dell’anno in corso, i dipendenti a tempo indeterminato erano poco meno di 15 milioni (per l’esattezza 14 milioni e 988mila); quelli assunti a termine 2,8 milioni. Dieci anni or sono (prima della riforma dei contratti a termine del 2014) i primi erano 14 milioni 850mila, i secondi 2,3 milioni. Certo, mezzo milione di contratti a termine in più non è da sottovalutare, soprattutto quando questa tipologia è nettamente prevalente nei flussi in entrata (il dato è costante e va ben oltre gli effetti del lavoro stagionale). Su base annua si conferma l’aumento degli occupati (+1,6%, +375 mila). La crescita interessa uomini e donne e riguarda i lavoratori dipendenti (+417 mila, di cui 350 mila a termine e 66 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-42 mila). A crescere sono soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+354 mila), ma crescono anche i 15-34enni (+167 mila), mentre calano i 35-49enni (-147 mila, sui quali influisce in modo determinante il calo demografico di questa classe).
Come abbiamo fatto notare altre volte tra la diminuzione degli occupati delle coorti comprese tra 35 e 49 anni e l’incremento degli ultracinquantenni esiste una relazione, appunto, di carattere demografico: in conseguenza dell’invecchiamento si determinano dei veri e propri passaggi alle coorti più anziane, le quali in tal modo si ingrossano sia per quanto riguarda l’insieme della popolazione, sia per numero degli occupati.
Sempre ad agosto 2017 la crescita dell’occupazione è determinata – il che è importante – esclusivamente dalla componente femminile (+0,5%) a fronte di un calo di quella maschile (-0,1%). Il tasso di occupazione si attesta al 67,5% tra gli uomini, invariato rispetto al mese precedente e al 48,9% tra le donne, in crescita di 0,2 punti percentuali. Il calo della disoccupazione nell’ultimo mese coinvolge sia gli uomini (- 0,4%), sia, soprattutto, le donne (-2,5%). Il tasso di disoccupazione maschile si attesta al 10,2% invariato rispetto a luglio, mentre quello femminile scende al 12,4% (-0,3 punti percentuali).
Il calo su base mensile degli inattivi tra i 15 e i 64 anni è determinato – qui sono evidenti gli effetti dell’aumento dell’età pensionabile – dalla componente femminile (-0,2%) a fronte di un aumento di quella maschile (+0,2%). Il tasso di inattività maschile rimane stabile al 24,6%, quello femminile scende al 44,0% (-0,1 punti percentuali). Purtroppo non migliora più di tanto il tasso di disoccupazione dei 15-24enni: la quota di questi soggetti sul totale degli attivi (occupati e disoccupati) è pari al 35,1%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente. Ma come abbiamo già osservato occorre fare i conti con la componente demografica che condiziona anche il livello di impiego di tutte le coorti.
Al netto degli effetti della componente demografica, l’incidenza degli occupati sulla popolazione è in crescita su base annua in tutte le classi di età (+4,2% tra i 15-34enni, +0,6% tra i 35-49enni, +1,9% tra gli ultracinquantenni). Il calo della popolazione tra 15 e 49 anni influisce in modo decisivo sulla variazione dell’occupazione nei dodici mesi in questa fascia di età, attenuando l’aumento per i 15-34enni e rendendo negativa la variazione per i 35-49enni. Al contrario l’incremento della popolazione degli ultracinquantenni ne raddoppia la crescita occupazionale. Ma questo aspetto non viene mai incluso nelle analisi approssimative che vengono divulgate. Si preferisce associare in maniera determinante l’incremento dell’occupazione per gli ultracinquantenni alle conseguenze della riforma Fornero per quanto riguarda l’età pensionabile.
In realtà, se si osservano i trend dall’angolo di visuale della disoccupazione si vedrà con chiarezza che le coorti dei lavoratori più anziani non se la passano poi tanto bene. Il tasso di disoccupazione cala su base annua per le persone da 15 a 49 anni, con variazioni comprese tra -0,1 punti percentuali per i 35-49enni e -2,2 punti per i 15-24enni, mentre aumenta di 0,5 punti per gli ultracinquantenni. Anche al netto dell’effetto della componente demografica, l’incidenza dei disoccupati sulla popolazione è in calo su base annua tra i 15-49enni mentre è in crescita tra gli over 50. Tutto il contrario di quanto viene detto nelle discussioni da bar (il cui livello è ormai divenuto assai diffuso anche in altri più paludati ambienti).