RIFORMA PENSIONI. Nell’ultimo periodo continuano a susseguirsi indiscrezioni circa l’innalzamento dell’età pensionabile e dei conseguenti interventi che potrebbero essere adottati al fine di scongiurare tale innalzamento. Al di là della confusione generata dai recenti proclami politici, la situazione normativa è la seguente. La cosiddetta “manovra 2009” (art. 22ter, comma 2, D.L. 78//2009 conv. in L. 102/2009), con l’intento di mettere a punto delle misure stabili di contenimento della spesa previdenziale, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un meccanismo permanente di adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita.



Il meccanismo in questione è stato, poi, significativamente modificato, dapprima, dalla “manovra economica del 2010″ (D.L. 78/2010 conv. in L.122/2010) e, successivamente, dalla “manovra economica del 2011″ (D.L. 98/2011 conv. in L. 111/2011) che ne ha anche anticipato l’entrata in vigore dal 2015 al 2013. Da ultima, nel dicembre del 2011, la cosiddetta Riforma Fornero (Decreto Salva Italia – D.L. 201/2011) ha confermato l’operatività del meccanismo di adeguamento automatico.



Dal punto di vista tecnico, l’adeguamento ha effetto sui requisiti richiesti per il diritto alla pensione ed è basato sugli incrementi della speranza di vita, relativi alla media della popolazione residente in Italia, secondo le rilevazioni effettuate dall’Istat. In pratica, il requisito anagrafico per poter accedere al trattamento pensionistico viene periodicamente innalzato in proporzione ai rilevamenti statistici dell’Istat A fronte di quanto previsto dall’art. 24, co. 13, D.L. 201/2011, sino al 2019, la revisione è effettuata con cadenza triennale, mentre successivamente a tale data l’aggiornamento dei requisiti avverrà dopo ciascun biennio.



Per l’applicabilità del predetto aumento, non sarà necessario alcun tipo di passaggio parlamentare, posto che la norma prevede che l’adeguamento operi per effetto di un apposito Decreto Direttoriale del ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il ministero del Lavoro, da emanare almeno 12 mesi prima della data di decorrenza di ciascun aggiornamento.

Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare dall’attuale dibattito politico, già a partire dal 1° gennaio 2013 si è registrato un primo innalzamento dei requisiti pensionistici pari a 3 mesi. Successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha avuto luogo un secondo adeguamento che ha comportato un innalzamento del requisito pensionistico di ulteriori 4 mesi. In ogni caso, è opportuno evidenziare che l’articolo 24, comma 9 del decreto legge 201/2011 prevede espressamente che, a far data dal 1° gennaio 2021, i requisiti per il pensionamento siano fissati a 67 anni. Ciò comporta inevitabilmente che, a prescindere da un’eventuale deroga all’innalzamento previsto a partire dal 2019, il pensionamento di vecchiaia, dal 2021, non potrà avvenire comunque prima del 67° anno di età.

A tal proposito si osserva che a fronte dei recenti interventi realizzati sul sistema pensionistico e del citato sistema di adeguamento automatico, l’Italia presenta una delle più alte età anagrafiche di accesso alla pensione d’Europa; basti pensare che in Austria l’età per accedere alla pensione è 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, in Belgio e in Danimarca è 65 anni per tutti; nel Regno Unito sarà di 65 anni a partire da novembre 2018 e in Germania si arriverà a 67 anni solo nel 2029. All’interno del quadro delineato dai predetti dati, la notizia di un ulteriore innalzamento automatico a partire da gennaio 2019 (fortemente criticato da parte dei sindacati) ha immediatamente suscitato un forte dibattito politico sulle misure realizzabili per scongiurare tale innalzamento.

Una delle proposte attualmente sul tavolo è l’inserimento nella Legge di bilancio, con la relativa copertura, di una norma che trasformi l’attuale adeguamento triennale in quinquennale, al fine di evitare lo scatto riferito al 2019 e far slittare l’innalzamento a 67 anni a partire dal 2021. Una tale soluzione, tecnicamente possibile, è unicamente adatta a spostare in un prossimo futuro l’inevitabile effetto delle attuali norme pensionistiche. Pertanto, è del tutto evidente che, a prescindere dalla possibilità o meno di inserire un correttivo nella prossima Legge di bilancio atto a far meramente “slittare” l’innalzamento previsto nel 2019, è necessario intervenire in maniera strutturale sulla complessa tematica delle pensioni. Sul tema, era stato lo stesso Governo Renzi, con l’emanazione dei recenti correttivi in materia di pensioni quali l’Anticipo pensionistico (Ape), ad affermare che le soluzioni “tampone” rappresentavano la “fase 1” di un progetto che, nel lungo periodo, avrebbe portato alla riforma del sistema pensionistico (la cosiddetta “fase 2”).

Per concludere, non bisognerebbe limitarsi a “mitigare”, con interventi ad hoc, le criticità di sistema generate dalla Riforma Fornero e dagli interventi precedenti, ma, al contrario, sarebbe di fondamentale importanza perseguire la strada delle riforme strutturali come mezzo per attenuare le diseguaglianze sociali che si verrebbero a creare.